Una telefonata non basta. Gli israeliani adesso si aspettano un «risarcimento» per quello che il premier Benjamin Netanyahu definisce «un impressionante errore storico». Così i consiglieri di Barack Obama — ieri sera ha chiamato Netanyahu — lasciano filtrare che gli Stati Uniti sono pronti a rimpinguare i quasi 3 miliardi di euro l’anno in aiuti militari allo Stato ebraico. Con un’eccezione significativa nella lista degli armamenti: niente bombe «bunker buster», le uniche capaci di penetrare in profondità, le uniche che potrebbero distruggere i centri di sviluppo atomico iraniani costruiti sotto terra.
Netanyahu e il suo ministro della Difesa proclamano «tutte le opzioni sono ancora sul tavolo, non siamo vincolati dall’intesa, ci difenderemo». Sanno anche loro che senza il sostegno — anche pratico — americano bombardare l’Iran è un’operazione troppo complicata. Così sembra ragionevole la proposta di Amos Yadlin, già capo dell’intelligence militare: «Chiediamo a Obama l’impegno scritto a garantire in qualunque caso la sicurezza di Israele, le dichiarazioni a voce non sono più sufficienti». Il premier ha sempre considerato bloccare il programma atomico degli ayatollah come la missione della vita. L’opposizione lo attacca perché non è riuscito a fermare l’intesa con Teheran, che anche la sinistra considera pericolosa per il Paese. I laburisti lo accusano di aver demolito strada facendo il rapporto con Obama, di aver bruciato l’opportunità di influenzare i contenuti dell’accordo. L’appello è a ristabilire contatti virtuosi con la Casa Bianca. Gli analisti temono che Netanyahu porti la lotta dentro al Congresso americano, cerchi di convincere i democratici a votare contro il documento (con i repubblicani non c’è bisogno): una mossa che cambierebbe poco la situazione e che di certo rovinerebbe definitivamente la relazione tra i due leader. La viceministra degli Esteri Tzipi Hotovely rincara: «Questo accordo è una resa storica da parte dell’Occidente verso l’Asse del Male».
Rimosse le sanzioni — ha ripetuto Netanyahu al telefono con Obama — l’Iran può intensificare la campagna «inghiotti e divora» (come l’aveva definita in marzo nel discorso davanti ai deputati e ai senatori americani) per controllare i Paesi del Medio Oriente. Se c’è un volto che rappresenta le preoccupazioni israeliane verso questa strategia, è quello con la barba rada e ingrigita di Qassem Soleimani, il generale che guida la Brigata Gerusalemme, le truppe d’élite delle Guardie Rivoluzionarie.
Il comandante più potente delle forze iraniane è inserito (per abusi dei diritti umani, sostegno al terrorismo, armi di distruzione di massa) nella lista di persone sotto sanzioni e adesso potrebbe uscirne. Ieri si sono alternate conferme e smentite sul fatto che il Qassem Soleimani menzionato fosse proprio lui: gli americani prima hanno negato («lo stesso nome è una coincidenza»), poi hanno spiegato che il generale — impegnato in questi mesi a impedire la caduta di Bashar Assad in Siria — sarebbe stato liberato solo dalle restrizioni imposte dall’Unione Europea, resterebbero quelle degli Stati Uniti.
Davide Frattini