L’accusa è che attraverso delle backdoor nel software Kaspersky Lab, delle «porte segrete», il governo russo possa avere avuto accesso a documenti segreti anche della National Security Agency Usa (Nsa). Kaspersky è ora nell’occhio del ciclone di una guerra tra servizi segreti che coinvolge anche l’amministrazione di Donald Trump e il suo «amico» Vladimir Putin. Le agenzie governative americane hanno 90 giorni per rimuoverli dai propri computer. Lo stesso Kaspersky ha fatto sapere di essere pronto a testimoniare negli Usa. È un caso sul quale non è facile capire chi è dalla parte del giusto. Se mai c’è.
Ha mai spiato per conto di un governo?
«Non ci è mai stato chiesto da alcuna agenzia di intelligence di supportare un’attività di cyber-spionaggio segreta. Se dovessimo ricevere tale richiesta da qualsiasi governo prenderemmo tutte le misure necessarie, inclusa quella di spostare l’azienda in un altro Paese».
Ma se fosse Putin in persona a chiederlo?
«La mia risposta sarebbe la stessa a qualsiasi richiesta di cyber-spionaggio di qualsiasi governo: un no definitivo. È una questione di principio oltre che di protezione dell’azienda. Se avessimo mai fatto le cose di cui siamo stati accusati falsamente, il nostro business sarebbe morto».
Qual è allora la sua versione dei fatti?
«La prima è che siamo stati presi di mira a causa delle relazioni geopolitiche tra Mosca e Washington. Dal momento che gli Usa avevano la necessità di attaccare qualsiasi cosa che fosse russa, i media hanno pensato a noi. La seconda versione è che questo attacco a Kaspersky Lab sia il risultato di alcune intromissioni dietro le quinte di competitor aggressivi e spietati. La terza versione invece è che l’intera storia riguarda la politica interna degli Stati Uniti e siamo solo un danno collaterale».
Siamo in una Guerra Fredda con armi cyber?
«Mi auguro sinceramente che questa faida tra Russia e Usa non sarà grave quanto una nuova Guerra Fredda. Il mondo è troppo interconnesso. Sono un ottimista e spero che presto le cose inizieranno a migliorare. Sfortunatamente non so quanto presto».
Gli esperti di sicurezza come lei dicono che l’unico modo di essere sicuri è restare completamente disconnessi. Saremo mai sicuri?
«Sì, credo che un giorno sarà possibile essere al sicuro anche online, ma non so quando accadrà: forse tra 50-100 anni».
Qual è la sua opinione in generale: andiamo verso un mondo con più libertà o più sicurezza?
«È sempre stato e sempre sarà un compromesso. Tuttavia la mia impressione è che l’umanità si stia avviando verso un mondo in cui le persone avranno sempre meno privacy e, in un certo senso, meno libertà. Con la crescente sorveglianza e i big data, sempre più informazioni su di noi saranno a disposizione degli altri. Non mi piace l’idea, ma è un trend tecnologico e non credo che sia possibile invertirlo ».
Corriere della Sera – Massimo Sideri – 25/10/2017 pg. 13 ed. Nazionale