di Fabrizio Roncone
«E mo’ ’ndo va questo? », dice un vigile in divisa bianca, di quelli che dovrebbero regolare il traffico e invece ora resta impalato a gustarsi la scena, si scarta una caramella e, gentile, offre: «Gradisce?».
La scena.
Il sindaco di Roma Ignazio Marino, zainetto in spalla, cravatta rossa, percorre con passo deciso i cento metri di marciapiede che conducono a piazza Santi Apostoli (dal Campidoglio sono cinque minuti, arrivare in bicicletta sarebbe stata una sceneggiata francamente inutile). S’infila dentro una comitiva di giapponesi, fa ciao con la mano a un barista pakistano, quindi mette su un sorrisone largo dei suoi e, trionfale, gira l’angolo.
Adesso dovete provare a immaginarvi una situazione abbastanza cinematografica. Perché la folla ondeggia, cala un silenzio improvviso, tutti si voltano. È una manifestazione, una fiaccolata organizzata dai sindacati per la legalità.
Ma qualcuno comincia a mulinarle, le fiaccole.
L’hanno visto.
Lui, Marino, prova d’istinto il solito numero della mano che alza con il dito medio e l’indice aperti, in segno di vittoria (già risultato inefficace martedì pomeriggio, più o meno a quest’ora, in Consiglio comunale, durante l’assedio dei grillini e dei camerati di CasaPound).
Uno della scorta: «Sindaco, non è il caso…».
No, non è il caso.
Bolgia di fischi e sghignazzi. Cori: «Di\mi\ssio\ni! Di\mi\ssio\ni!». Un tipo con il fazzoletto della Cgil al collo, si avvicina piano e gli fa: «Devi sparire!» (tra i manifestanti, anche alcuni lavoratori della Multiservizi, una società partecipata di Ama che il sindaco vorrebbe privatizzare).
Poche le strette di mano, pochissime le frasi di incoraggiamento.
La scorta gli si stringe intorno, il vicesindaco Luigi Nieri è pallido, le pupille come due mosche impazzite.
È stato lui ad invitare Marino in questa piazza, che si è rivelata un trappolone. È lui l’ultimo esponente della giunta ad essere finito nell’inchiesta di Mafia Capitale (Salvatore Buzzi, uno dei capi dell’organizzazione insieme a Massimo Carminati, racconta al telefono: «Ho parlato con Nieri. Per me è fuso il ragazzo. Mentre dicevo se m’aiutava a fa’ cresce la cooperativa, me’ chiede: “Ma mi puoi assumere questo?”»).
Aggiungete che fu Nieri, durante la campagna elettorale, a portare Marino da Buzzi. E che proprio in quella circostanza Marino promise — con entusiasmo — di devolvere alla cooperativa di Buzzi il suo primo stipendio.
Marino — che ora però molla uno sguardo di puro odio a Nieri, perché a riprendere la contestazione ci sono anche telecamere e fotografi — in queste tragiche settimane ripete sempre tre frasi, qualcosa tra un mantra e un esorcismo: «Non mi sono accorto di nulla» (in Campidoglio, il suo soprannome è «Bambi», copyright Walt Disney). «Io sono una vittima di Mafia Capitale». «Io sono il moralizzatore di questa città».
A cercare in archivio, però, non risulta che abbia mai posto alcuna «questione morale»: né un intervento in aula, né un’intervista. Fino al 2 dicembre scorso, quando la Procura di Roma alza il coperchio sulla fogna che sappiamo, Marino ha invece posto con forza sempre una sola questione: quella pedonale.
Vuole mandare i romani e i turisti a piedi in via dei Fori Imperiali.
Questa gli sembra il problema principale.
Il chirurgo di fama che a 59 anni arriva da Genova passando per Palazzo Madama con un curriculum di oltre 700 trapianti d’organo (compreso il primo nella storia dal babbuino all’uomo) e il poster di Che Guevara piegato nel trolley, eletto sindaco tra lo scetticismo del suo partito, il Pd, e grazie a un colpo di mano del potente Goffredo Bettini, non si accorge di ciò che accade nei corridoi del Palazzo Senatorio.
Zero, niente, mai neppure mezzo sospetto.
Eppure è circondato da persone che fanno affari con Buzzi e Carminati: infatti arrestano Mirko Coratti (Pd), il presidente dell’assemblea capitolina, e Daniele Ozzimo, l’assessore alla Casa; arrestano pure un consigliere del Pd, Pier Paolo Pedetti, e un consigliere di Nuovo centro democratico, Massimo Caprari. Finiscono nelle intercettazioni Luca Giansanti, il capogruppo della Lista Marino, e Francesco D’Ausilio, l’ex capogruppo del Pd.
Ma lui, Marino, non si è mai accorto di qualcosa.
Con i capetti del Pd, Coratti e D’Ausilio, che gli commissionò contro un sondaggio segreto (risultava gradito solo al 20% dei romani) solo battaglie di natura politica. Molte settimane perse poi per difendendosi dalla brutta polemica legata alla sua Fiat Panda rossa (multe pagate, diciamo così, a rate).
Quando sente questi discorsi — qui, in piazza Santi Apostoli, un paio di cronisti provano a farglieli di nuovo: ma lui mette su un muso spaventoso — Marino di solito ricorre sempre alle stesse identiche risposte (è accaduto anche con Giovanni Floris, su La7).
Più o meno dice: sono stato io a far chiudere la discarica di Malagrotta (ma omette di dire che eseguì l’ordine definitivo dell’Ue); io ho allontanato dal Campidoglio quel ceffo di Franco Panzironi, uomo di Gianni Alemanno poi condannato a 3 anni e 8 mesi nell’inchiesta «parentopoli» (ma è piuttosto normale che un sindaco si circondi solo di persone fidate); appena insediato chiesi al ministero dell’Economia di mandare gli ispettori, perché avevo trovato un buco di 860 milioni .
Mai una parola su come sia stato possibile non vedere, intuire, immaginare. E sulle conseguenze politiche che ciò potrebbe e dovrebbe comportare.
«Commissariare cosa? Sarebbe il mondo all’incontrario».
Invece era il Mondo di Mezzo.
Ma Matteo Orfini, commissario straordinario del Pd romano, ancora meno di un’ora fa, gli ha ordinato di non pensarci.
Fare finta di niente.
Andare avanti.
Anzi, adesso uscire da questa piazza, che è meglio.