IL SENSO DEL SUD PER LA SINISTRA.

 

Come recuperare l’elettorato/COMMENTI
Caduto il regime fascista, Vittorio Foa lasciando il carcere donava al suo compagno di cella la Scienza nuova di Vico, con una dedica tratta dal testo: «Per varie e diverse vie, che sembravano traversie ed eran in fatti opportunità». L’eterogenesi dei fini è una regola della scienza sociale moderna, un invito a far leva sui limiti della ragione per cogliere risvolti positivi da ogni evento, anche il più negativo. Con le dovute proporzioni, la sinistra del dopo 4 marzo dovrebbe saper vedere nella caduta un’opportunità. Altre volte in passato, la riflessione su “che cosa è andato storto” è stata fondamentale. È evidente che saper leggere implica avere dei criteri di giudizio come antenne; solo così la sconfitta si può fare opportunità.
La questione della rappresentanza sociale – dello schierarsi con chi – è una di queste antenne: la sinistra ha la missione di partire dalla condizione di chi sta peggio per poter correggere in positivo i rapporti sociali. In Italia, questa condizione è propria di alcune fasce (giovani e vecchi) e aree geografiche (il Sud).
Ma non basta censire la mancanza cronica di lavoro e una vita di espedienti (non sempre legittimi) come fanno gli scienziati sociali. Occorre sentire quei problemi e le loro implicazioni, poiché la politica è vicina alle emozioni che guidano le azioni. E un partito deve saper progettare le azioni, non solo dei pochi che lo dirigono, ma soprattutto dei molti che lo seguono o lo votano. Pensiamo alla “questione meridionale” che molta parte della dirigenza della sinistra sembra aver lasciato cadere, consolandosi col dire “basta ai piagnistei”, ci si “rimbocchi le maniche”, “l’Italia è ripartita”. Pochi anni fa, Roberto Saviano obiettò su questo giornale che quello del Sud «è un urlo di dolore, non un piagnisteo che sembra invece somigliare di più alla cantilena del va tutto bene». Il Sud come “palla al piede” che deturpa l’immagine di un’Italia che riparte: in anni recenti, questo è stato il sentire della sinistra. E l’abbandono del Sud è stato reciproco, un divorzio. La quasi scomparsa della sinistra era una sconfitta annunciata. Che lo si sia visto dopo, questo è il problema. Alle origini del fascismo, Antonio Gramsci scriveva che la classe politica era fatta di “dilettanti” che si preoccupavano di eliminare dalla vista ciò che ostacolava il cammino, preferendo magari usare il piglio autoritario: «Non hanno alcuna simpatia per gli uomini [che soffrono]… Obbligano a soffrire inutilmente nel tempo stesso che sciolgono degli inni alati alla virtù, alla forza di sacrificio e di volontà del cittadino italiano». E intanto, le forme di illegalità, le periodiche rivolte fanno del Sud un’incognita. Una storia eterna.
La “questione meridionale” non è così misteriosa e neppure una “palla al piede”: mostra come con una lente di ingrandimento la disgregazione sociale, lo sfarinamento delle forze associative, che sole possono attivare protagonismo, e opporre una politica di programmi a una di promesse assistenziali. La condizione del disagio deve poter stimolare il sentire per meglio orientare il comprendere.
Ritornare a riflettere sulle politiche sociali, per abbandonare i piccoli stratagemmi elettorali della monetarizzazione del bisogno, per riprendere la via del rilancio di politiche per l’occupazione. E collegarsi con le altre forze della sinistra europea per riportare al centro la condizione di chi è penalizzato dalla globalizzazione. E intanto, aprire le sezioni e ogni luogo di incontro per dare voce a chi è restato ai margini, e rimettere in funzione i radar; tornare a leggere un Paese del quale si sono perse le tracce. Non può essere il premio David di Donatello a farci capire che il Sud c’è e non è una “palla al piede”.
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