FRANCA SELVATICI
«CHI ha nascosto cosa a chi? Non Mussari, per il quale si impone l’assoluzione piena». Con queste parole il professor Tullio Padovani ha chiuso ieri in corte d’appello la sua arringa in difesa dell’ex presidente di Banca Monte de’ Paschi di Siena Giuseppe Mussari, condannato in primo grado a Siena a 3 anni e 6 mesi per ostacolo alla vigilanza di Banca d’Italia in concorso con l’ex direttore generale Antonio Vigni e l’ex capo dell’area finanza Gianluca Baldassarri.
Uscendo dall’aula, il professor Padovani ha ripetuto più volte la domanda – «Chi ha nascosto cosa?»- aggiungendo un giudizio durissimo sulla vicenda: «E’ il processo più schifoso degli ultimi 50 anni, un processo che fa raccapriccio». Mussari era presente in aula.
Nella udienza del 13 ottobre il pg Vilfredo Marziani, affiancato dai pm di Siena Antonino Nastasi e Aldo Natalini, aveva chiesto alla corte di inasprire la condanna contro l’ex presidente e gli altri due imputati, sollecitando 7 anni per il primo e 6 per gli altri due. Al centro del processo vi è il presunto occultamento del «mandate agreement », contratto che – secondo l’accusa – era essenziale per capire la ratio di una colossale operazione realizzata nel 2009 con la banca giapponese Nomura. Il “mandate”, conservato in una cassaforte e ritrovato soltanto il 10 ottobre 2012, collegava la ristrutturazione del derivato Alexandria, che in seguito alla crisi dei mutui subprime aveva generato perdite per Mps per 220 milioni, alla operazione di acquisto di Btp a scadenza 2034. Secondo le accuse, Nomura si sarebbe accollata (o avrebbe finto di accollarsi) le perdite del derivato Alexandria e in cambio Mps avrebbe messo a garanzia dell’operazione l’acquisto di tre miliardi di Btp (finanziato da Nomura), in modo tale da spalmare le perdite generate da Alexandria nei successivi 25 anni. Il tutto ha avuto un esito disastroso per Mps, con perdite ulteriori di circa 300 milioni.
Banca d’Italia è parte civile. Ma i difensori degli imputati sostengono che gli ispettori della Vigilanza avevano a disposizione tutti i documenti che consentivano di collegare le due operazioni (ristrutturazione di Alexandria e acquisto di Btp), in particolare il “Deed of amendment”, che definiscono l’atto esecutivo, mentre il “mandate” era solo il contratto preparatorio. Sia l’altro difensore di Mussari, l’avvocato Fabio Pisillo, che gli avvocati di Vigni, Franco Coppi ed Enrico De Martino, hanno sostenuto, peraltro, che il “mandate” non è mai uscito dalla banca e che non c’è stata nessuna opacità. Proprio ieri l’agenzia Bloomberg ha scritto che Bankitalia sapeva dal 2010 – due anni prima che venisse allertata la procura di Siena – che Mps stava nascondendo una perdita di centinaia di milioni verso Deutsche Bank, generata da un altro veicolo finanziario, il derivato Santorini.
«Il “mandate” – ha detto ieri il professor Padovani – non è stato nascosto in cassaforte perché era importante. E’ divenuto importante perché era in cassaforte. E per chi l’ha ricevuto è divenuto l’ancora di salvezza, visto che due ispezioni nel 2012 non avevano rilevato problemi. La Banca d’Italia si è sentita come il medico che visita il paziente, lo trova in difficoltà ma niente di più e poco dopo il paziente crolla”.