IL PREMIER COSTRETTO A UN OTTIMISMO DIFENSIVO.

Di Massimo Franco
Quello sfoggiato ieri da Matteo Renzi in conferenza stampa si potrebbe definire un ottimismo difensivo. Il presidente del Consiglio sa di avere margini ristretti per favorire la ripresa. E presentando il Documento di Economia e Finanza ha annunciato che taglierà ancora la spesa degli enti locali; che ridurrà i consigli di amministrazione di «migliaia di partecipate»; e che questa spending review «non è il tentativo di far del male ai cittadini ma quello di utilizzare meglio i loro soldi». Anche se la reazione furibonda di comuni e regioni, i quali fanno sapere di non avere più nulla da dare, lascia temere un aumento di rimbalzo delle tasse locali. Lo scontro con il presidente dell’Anci e sindaco di Torino, Piero Fassino, esponente del Pd, è l’emblema di una tensione tra Palazzo Chigi e gli enti locali, destinata a crescere; e probabilmente a scaricarsi sulla popolazione. Yoram Gutgeld, commissario alla spending review e braccio destro di Renzi, spiega che si tratta di «riportare i Comuni all’efficienza delle città migliori. Chiediamo a tutti i sindaci di adeguarsi gradualmente». È un invito ragionevole, ma sgradito, nonostante le responsabilità che i comuni hanno in tema di spesa pubblica. Affiora l’accusa di non avere fatto lo stesso a livello centrale; e comunque di provocare un aumento delle tasse locali per compensare i tagli. La richiesta di un incontro urgente a Renzi da parte dell’Anci prima che venerdì il Def diventi legge, sa di ultimatum. Per ora, il premier ha risposto con durezza e una punta di ironia alle richieste dei sindaci: anche perché le loro critiche ricalcano quelle delle opposizioni. D’altronde, il governo vuole accreditare un’azione che per la prima volta uscirebbe dalla logica dell’emergenza, accreditando l’archiviazione graduale ma inesorabile delle ristrettezze degli anni passati. L’obiettivo è di «impostare un ciclo della fiducia: il circolo virtuoso che fa risalire la domanda e crea spazio per ridurre le tasse», spiega un comunicato di palazzo Chigi. Si tratta di obiettivi politici, che rispondono alla necessità di accreditare un’Italia sulla strada del cambiamento e di quella «ripresa ragionevole» di cui parla il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Anche se sull’aumento della pressione fiscale c’è maggiore indeterminatezza. L’anno scorso il premier aveva assicurato un taglio delle tasse per il 2015. Ieri lo ha rivendicato. Ma per il futuro si è tenuto sul vago. «Un’eventuale riduzione» delle tasse «ci sarà nella Legge di stabilità per il 2016, se ne esisteranno le condizioni». Prudenza opportuna: la stessa usata a proposito di crescita del Pil, previsto intorno allo 0,7 per cento; meno di quanto Palazzo Chigi spera. La maggior parte dei commenti è in chiaroscuro. Anche chi plaude all’eliminazione degli aumenti dell’Iva, come la Confcommercio, chiede di intervenire in altri settori per ridurre le tasse. Padoan rifiuta la vulgata secondo la quale sarebbero aumentate: vulgata che pure trova riscontro nei dati di istituti come l’Istat. L’idea che sia finita davvero l’era dei sacrifici, come sostiene con enfasi Palazzo Chigi, per ora sembra appartenere più alla narrativa del governo che a una percezione diffusa.