di Massimo Rossi
Il potere, in senso assoluto, adora la disinformazione.
Adora infliggere nei cittadini l’idea, del tutto astrusa, che siano informati e conoscano le cose in modo perfetto.
Analizzare l’epoche storiche è fondamentale per capire che dagli inizi del ‘900 ad oggi vi sono stati solo alcuni decenni, nei quali l’informazione e la formazione era pluralista e non controllata.
L’inizio del ‘900 vedeva una popolazione sotto acculturata ed una élite di potere che, di fatto, dirigeva la “cosa pubblica” nel modo che riteneva.
Vi era una distanza siderale tra l’intellettuale del primo ‘900 ed il bracciante o il lavoratore.
Vi era una profonda differenza culturale che, di fatto, portava ad un’unica conseguenza: le masse erano del tutto ignoranti ed acefale.
Lo spirito della conduzione della “cosa pubblica” poggiava su poche ed abili mani (Cavour, Giolitti ed altri).
La “cosa pubblica” era sacra ed il concetto di Patria altissimo.
Le masse – come detto – erano formate da soggetti che a stento sapevano leggere e scrivere e fare di conto.
Poi c’è l’avvento del Fascismo che non a caso è guidato da un uomo, Benito Mussolini, che proviene dalla direzione dell’Avanti (giornale socialista).
La funzione della stampa di regime e della sostanziale abolizione del pluralismo, la caccia ai giornalisti non allineati, la chiusura delle testate non fasciste non lascia dubbi sul fatto che l’informazione sia e debba essere il pilastro, sul quale una dittatura intenda basarsi.
Qui non c’è disinformazione, ma c’è totale chiusura e repressione che impedisce ogni e qualsiasi pluralità di pensiero.
Vi è il c.d. “pensiero unico” che è il pensiero di chi governa con metodi dittatoriali e di controllo delle masse.
La fine del Fascismo e l’avvento della democrazia aprono uno squarcio nella pluralità di pensiero, ma vi è il problema degli inizi del ‘900.
Ovvero, vi è una classe dirigente colta e preparata che guida la rinascita del Paese e la sua apertura democratica. Ma c’è la totale ignoranza delle masse che è fornita da braccianti, agricoltori e molti senza lavoro.
L’informazione diventa pluralista, ma è patrimonio per pochissimi.
Nella Carta Costituzionale vi è un principio fondamentale: il diritto di tutti alla frequenza scolastica.
Questo valore fondante che i padri costituenti hanno voluto inserire apre la strada alla possibilità per la massa di avere quel grado di istruzione che porta verso la capacità di decidere essendo informati.
L’arco temporale nel quale si sviluppa questo effettivo pluralismo e possibilità di un vasto accesso alla cultura ed all’informazione va dal 1960 al 1985.
In questo arco temporale il rapporto tra massa ed istruzione cambia radicalmente, la massa è in grado di accedere ai vari livelli di istruzione che è pubblica e gratuita e favorisce anche i meno abbienti, in tal modo si eleva il livello culturale della massa e si ha l’inserimento di alcuni soggetti in spazi prima appannaggio solo dei ceti più ricchi.
Ma vi è un nuovo mezzo di informazione che invade le case e da subito cambia la vita degli italiani: la televisione.
Vi era già la radio, ma la televisione è uno strumento (il primo) che, di fatto, obbliga il soggetto a “stare immobile davanti ad essa”.
La differenza con la radio è evidente: la radio si ascolta facendo cose, la televisione si ascolta immobili (pare poca cosa, ma non lo è).
Il mezzo all’inizio fu fonte di acculturamento e di elevazione della massa, soprattutto, relativamente al linguaggio, ma poi divenne il primo (ma ora non l’unico) strumento di “sterminio della informazione”.
È, però, fondamentale comprendere la differenza tra radio e televisione e su come la televisione è uno “strumento dittatoriale”.
La radio è compatibile anche con la lettura o con lo studio, come sanno molti; la televisione no.
Essa ti prende totalmente e uccide ogni diversa attività.
La televisione, in realtà, verrà usata proprio per tenere ferme le masse, abituate a trascorrere il tempo senza pensare, irretirla con trasmissioni inutili e/o deleterie.
Di fatto, per dare l’idea della informazione quando si svolge una vera e propria e sistematica operazione di eliminazione del “pensiero critico”.
La massa che ha sempre avuto gravi problemi ad accedere alla lettura, di fatto, non legge più!
La lettura e la libera scelta del leggere (romanzi, saggi ed altro) è alla base del pensiero critico (sebbene anche questo settore sia inquinato da libri che non meritano nemmeno di essere sfogliati).
Ma anche per scegliere la lettura occorre avere una base culturale, altrimenti, si confonde qualcosa di inutile con qualcosa di utile.
E si diventa ancora più ignoranti.
Il periodo dal 1960 al 1985 è quello più florido e nel quale chi voleva (e poteva) aveva la possibilità di scegliere e di creare le basi per un “pensiero critico”.
Dopo il 1985 c’è l’avvento della TV commerciale e già da lì si può iniziare a parlare di voluta disinformazione con la “TV spazzatura”.
La massa sempre più incollata alla TV che non aveva più orari e trasmetteva h24 era sempre più in preda ad una volontaria e poco consapevole involuzione.
Si salva solo chi dopo il 1995/1990 ha continuato a leggere e staccato la TV.
L’inizio degli anni 2000 è l’apoteosi della dittatura della disinformazione con l’avvento (libero) di internet e con l’avvento dei dispositivi portatili.
La c.d. rete che in apparenza sembra libera, in realtà, è governata da colossi economici che dirigono tutti i vari desideri da quelli culinari a quelli politici, da quelli della notizia di cronaca a quelli delle informazioni più astruse.
La rete, in realtà, da strumento di mera consultazione diventa parte integrante delle nostre conoscenze.
Ed è allora che il potere gioca sulla disinformazione, si mette in moto.
La rete, in realtà, è uno strumento di disinformazione e di controllo.
La rete (guidata, come detto) ci dice solo ciò che vuole e non ciò che ci serve, ma a noi pare che ci serva proprio ciò che ci propone.
La rete è, in realtà, il fenomeno più grave e dittatoriale che si sia conosciuto dagli albori della storia.
Il potere di chi gestisce la rete non è solo quello di informare in modo parziale (o peggio disinformando), ma è quello di orientare il sistema e, quindi, di rendere la massa contenta di quello che desidera che in realtà non è una libera scelta, ma una abile manipolazione.
Il salto di qualità poi è stato quello di affinare sempre più il dispositivo cellulare che da telefono è diventato un appendice del soggetto.
Oggi, con il cellulare si può fare tutto (praticamente), si è sempre reperibili, si è sempre connessi, si è (soprattutto) sempre controllati.
Il controllo è continuo e costante e coinvolge, non solo gli spostamenti, ma anche i gusti, le predilezioni, gli interessi e via dicendo.
Una microspia volontariamente inserita nella nostra vita, di cui (ed è qui la genialità della operazione) siamo contenti.
Con il cellulare la tecnologia ha reso possibile la mobilità ed il controllo in un’unica accezione: un vero miracolo della dittatura della “falsa informazione”.
Il quadro – a nostro parere – è tutto fuorché roseo; la situazione dei Paesi occidentali è quella di una dittatura “piacevole” delle masse attraverso una elaborazione di algoritmi che emergono dal controllo dei valori e dei desideri.
Siamo in una sorta di “grande fratello” che ci controlla?
Ritengo di sì, ma non ci controlla solamente, ci governa e ci indirizza e fa si che le “nostre” scelte ci sembrino autonome.
Quale la possibile soluzione?
La risposta è del tutto fuorché semplice.
Staccare la rete non è possibile perché nessuno può fare a meno di lei (e questo loro lo sanno), ma di certo, capire ed imparare a selezionare è possibile e doveroso.
Ma per capire e selezionare occorre avere conservato un “pensiero critico” che si forma solo attingendo da una pluralità di fonti che non siano mono orientate.
Riteniamo che questa sia l’anima “nera” del capitalismo che, di fatto, è capace di cannibalizzare se stesso e non portare più linfa.
Così facendo chi veramente viene penalizzato sono i giovani che hanno imparato in modo sistematico ad affidarsi alla rete come punto di riferimento unico e, quindi, non conoscono altre fonti di riferimento: i libri su tutto (ma i buoni libri).
Loro sono le prede migliori e loro sono i soggetti che vanno allertati.
La facilità con cui i giovani sono inseriti in questi meccanismi determina che si sta creando una “generazione di soldatini” che poi faranno tutto quello che la rete gli ordina.
Quadro eccessivamente negativo?
Ci si augura di sbagliare e chi scrive confida molto nei giovani, ma ai giovani vanno date speranze, sogni, ideali, motivi per lottare per un mondo migliore e tutto questo in giro non lo vedo.
Anzi, vedo solo chi inneggia alla bieca violenza (facile preda per i giovani) e chi li rabbonisce con progetti per la vita che possano solo dall’essere delle meteore.
I giovani devono essere amati e guidati a scegliere, personalmente li vedo solo usati e costretti a subire.
Dobbiamo avere cura di dire ai giovani che solo la cultura e lo studio salvano; il resto è fallace e pericoloso.
Le strade brevi, in realtà, sono costellate di bugie e di trappole, talvolta, mortali.
Cosa temo veramente?
Che si stia propagando una generazione che non reagisce all’eventuale dittatura della rete.
Per questo bisogna cambiare rotta e farlo subito.
Si può stare nella rete, ma conservare lo spirito critico ed analitico.
L’eccessivo affidamento alle c.d. “verità della rete” può portare a sottovalutare l’impoverimento globale delle coscienze dei nostri ragazzi che devono alzare la testa dai cellulari perché il mondo e la vita è fuori e si affronta sempre e comunque a testa alta.