Il poema della forza

Mattia Feltri

Forse Matteo Salvini è rovinato o più probabilmente no, ma di certo ignora quanto fu scritto millenni fa, che l’eroe ha nel destino di essere trascinato nella polvere dietro a un carro. Lo ignora lui, nel suo piccolo, e fu ignorato da altri molto più grandi di lui che prima di lui si inebriarono della forza di cui disponevano, e si illusero, come si è illuso lui, nel suo piccolo, dell’illimitatezza della loro forza. Fu scritto millenni fa e la nostra storia è tutta lì, la storia delle misere vite quotidiane e delle gloriose vite dei condottieri e delle sfarzose vite dei sovrani: è una pura questione di forza, l’inesausto tentativo di occupare con la forza gli spazi del diritto e della libertà altrui. Quando millenni fa un uomo cieco lo scrisse nel suo inarrivabile poema, sapeva che la forza schiaccia chiunque ne sia toccato e fa sempre due vittime: chi la esercita e chi la subisce. Chi la subisce è disarmato e fragile al punto di diventare un oggetto, chi la esercita ne è provvisto solo momentaneamente, prima o dopo, per conseguenza, altrettanta calerà su di lui per l’ultimo viaggio nella polvere. Ma lo abbiamo dimenticato, abbiamo usato la forza ogni volta legittimati dalla convinzione di essere dalla parte del bene. Salvini, nel suo piccolo, è un replicante. Baciando un crocefisso, ha usato la forza di cui è stato dotato dalla sorte sui naufraghi, sui carcerati, sugli oppositori, sugli alleati, su chiunque fosse più debole, e siccome non era ancora una forza sufficiente ne voleva di più, voleva i pieni poteri, la titolarità esclusiva e dunque irresistibile della forza. Nel suo piccolo, ne ha ricavato la sventura che gli toccava.

Forse Matteo Salvini è rovinato o più probabilmente no, ma di certo ignora quanto fu scritto millenni fa, che l’eroe ha nel destino di essere trascinato nella polvere dietro a un carro. Lo ignora lui, nel suo piccolo, e fu ignorato da altri molto più grandi di lui che prima di lui si inebriarono della forza di cui disponevano, e si illusero, come si è illuso lui, nel suo piccolo, dell’illimitatezza della loro forza. Fu scritto millenni fa e la nostra storia è tutta lì, la storia delle misere vite quotidiane e delle gloriose vite dei condottieri e delle sfarzose vite dei sovrani: è una pura questione di forza, l’inesausto tentativo di occupare con la forza gli spazi del diritto e della libertà altrui. Quando millenni fa un uomo cieco lo scrisse nel suo inarrivabile poema, sapeva che la forza schiaccia chiunque ne sia toccato e fa sempre due vittime: chi la esercita e chi la subisce. Chi la subisce è disarmato e fragile al punto di diventare un oggetto, chi la esercita ne è provvisto solo momentaneamente, prima o dopo, per conseguenza, altrettanta calerà su di lui per l’ultimo viaggio nella polvere. Ma lo abbiamo dimenticato, abbiamo usato la forza ogni volta legittimati dalla convinzione di essere dalla parte del bene. Salvini, nel suo piccolo, è un replicante. Baciando un crocefisso, ha usato la forza di cui è stato dotato dalla sorte sui naufraghi, sui carcerati, sugli oppositori, sugli alleati, su chiunque fosse più debole, e siccome non era ancora una forza sufficiente ne voleva di più, voleva i pieni poteri, la titolarità esclusiva e dunque irresistibile della forza. Nel suo piccolo, ne ha ricavato la sventura che gli toccava.

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