Rieccolo con il sindaco d’Italia, con l’abracadabra del “riapriamo i cantieri” come se non fossimo stati già vaccinati dal suo SbloccaItalia, con le minacce di sfiducia a ministri e le richieste di abiure sul reddito di cittadinanza. L’ex uomo solo al comando, l’ex segretario osannato dal Pd quando vinceva tutte le elezioni, era ieri la stessa persona che oggi va in Pakistan per affari mentre guida in parlamento un gruppo di senatori e deputati sotto il simbolo del sopravvissuto partito socialista dell’onorevole Nencini. È la stessa persona che ingaggia battaglie sulla prescrizione naturalmente in nome dello stato di diritto votando con il centrodestra.
Sembrerà strano ma proprio un manovriero eccellente come lui poi non si accontenta di possibili mediazioni nella maggioranza e minaccia crisi di governo a orari regolari come un orologio svizzero. E mentre esercita la professione di sfasciacarrozze, dalle montagne pakistane ci dà appuntamento alla tavola che ogni sera il buon Vespa apparecchia per chi si rivolge alla sua benevolenza. Da un altro salotto tv, quello di Fabio Fazio, fece fallire il tentativo di accordo Pd-M5S dopo il 5 marzo di due anni fa, salvo resuscitarlo una volta deciso che avrebbe giocato il ruolo di mina vagante con una scissione-lampo.
Che un governo di coalizione nato a ferragosto sia sottoposto a verifica permanente per trovare l’accordo sui migranti come sulla scuola, sui cento tavoli di aziende in crisi o sul salario minimo sembrerebbe normale amministrazione per un’inedita alleanza stracolma di contraddizioni, scelte politiche ambigue, difficoltà intrinseche. Non però per chi come Renzi, o come Salvini, mal sopporta la mediazione vivendo nell’arroganza del comando fino a invocare il presidenzialismo.
Quando Renzi disarcionò Letta, con l’avallo di tutto il Pd, fu l’inizio della fine, che arrivò dopo due anni con il referendum costituzionale. Ora vorrebbe replicare dando il benservito a Conte, insopportabile rivale nei sondaggi. Oltretutto il suo ego smisurato è tormentato dal fatto che al posto di capotavola del governo siede il suo ex partito mentre a lui è riservato uno strapuntino (piuttosto le sue ministre disertano le riunioni del governo). Inutile ricercare un senso politico se l’unico senso del suo agitarsi è dettato da un’ansia di prestazione tipica del leader sconfitto, ridotto al piccolo cabotaggio.