ROMA – Che pena. Che pena leggere certe affermazioni fatte da chi dovrebbe rappresentare l’Altissimo tra noi mortali. Penso al Patriarca Kirill, sommo rappresentante della Chiesa ortodossa russa, che dopo giorni di silenzio ha finalmente espresso il suo pensiero rispetto all’invasione dell’Ucraina, la guerra decisa dall’autocrate Putin. “Parliamo della salvezza umana – ha detto il Patriarca -, ci troviamo in una guerra che ha assunto un significato metafisico. Le parate dei gay dimostrano che il peccato è una variabile del comportamento umano. Questa guerra è contro chi sostiene i gay, come il mondo occidentale, e ha cercato di distruggere il Donbass solo perché questa terra oppone un fondamentale rifiuto dei cosiddetti valori offerti da chi rivendica il potere mondiale”.
Parole vergognose, che mai ci saremmo aspettati da chi deve farsi interprete del supremo sacrificio offerto dal Cristo messo in croce da noi umani, proprio perché abbracciava gli ultimi, gli straccioni, i ladri e le prostitute. Il Patriarca, al contrario, rivendica la purezza della razza e dei valori di una razza. A quanto pare quelli impersonati oggi dalla sua miglior spalla, quel Putin che le parole del Patriarca sta recapitando all’Ucraina con missili, colpi di cannone e di mitraglia. Provo pena e vergogna, e meno male che nella Chiesa russa cresce e si rafforza anche una nuova novella rispetto all’odio espresso dal Patriarca. Sono 431 i preti e diaconi della Chiesa russa che si sono pubblicamente espressi contro la guerra di Putin, parola vietata e che se pronunciata viene immediatamente repressa dagli sbirri di Putin benedetti da Kirill.
E poi questa ossessione contro i gay, sempre nel mirino anche di Putin, nel volerli ergere a simbolo della decadenza e dello snaturamento dei valori occidentali. Questo disprezzo nei confronti del sentimento d’amore che può nascere anche tra individui dello stesso sesso, questo volerlo ridurre a vizio, a schifo. C’è una sfida lanciata all’Occidente oggi in difficoltà perché ha dentro di sé i valori democratici e non può rispondere con le armi a questa aggressione, sapendo che c’è una nuova generazione di giovani che sono cittadini del mondo, che non vogliono essere ghettizzati o peggio finire nelle avide mani di oligarchi e patriarchi. Sono loro che stanno scendendo nelle piazze della Russia, che protestano contro la guerra e che in migliaia finiscono nelle celle di Putin. Sono loro il futuro, sono loro che dovranno riscattare il loro Paese dalle brutture e dai pensieri osceni di Putin e Kirill.
Non solo Kirill però. Oggi c’è anche Antonio Gramsci, nipote del grande Antonio Gramsci messo in galera e ucciso dal fascismo italiano, che vive da sempre in Russia e che oggi si è espresso a favore di Putin e della sua guerra, scagliandosi contro noi occidentali perché “non capiamo, il Paese è con lui”. Gramsci insegna, ogni giorno sale in cattedra e insegna agli adolescenti russi perché bisogna stare col nuovo Zar: “Credo che il mondo guardi alla Russia attraverso la lente delle sue grandi città. E allora si fanno grandi teorie sulla nostra occidentalizzazione. Ma esiste una grande differenza – spiega il Gramsci filo-Putin – tra il livello di vita delle metropoli russe e le loro periferie… La Russia profonda è tutt’altro che omologata all’Occidente. E quindi non ne ha tutto questo desiderio”.
Insomma, questo è se vi piace oppure no. Comunque viva Putin “perché nessuno garantisce la stabilità di questo Paese come lui”. Bisognerebbe fargli presente che, forse, nessuno finora è apparso all’orizzonte perché gli sbirri al servizio della cricca che impera e domina qualche alternativa l’ha fatta fuori a colpi di pistola. Come hanno ammazzato i giornalisti che hanno cercato di far prevalere la verità sulla propaganda di governo. Al povero professor Gramsci, possiamo soltanto regalare qualche pensiero di suo nonno sul fascismo italiano, per certi versi forse simile a quello in cui si trova lui con gradimento. Proprio con un occhio alle immense periferie e poli che vivono lontani dal centro e che votano in massa l’autocrate: “Il fascismo – scriveva Antonio Gramsci nei Quaderni- si è presentato come l’anti-partito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha dato modo, con la sua promessa di impunità, a una moltitudine incomposta di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle passioni, degli odi, dei desideri. Il fascismo è divenuto così un fatto di costume, si è identificato con la psicologia barbarica e antisociale di alcuni strati del popolo italiano, non modificati ancora da una tradizione nuova, dalla scuola, dalla convivenza”.