L’11 settembre scorso il parlamento portoghese ha approvato una mozione di condanna alla proposta di aprire un museo nella vecchia casa di Santa Comba Dão del dittatore António Oliveira Salazar. Hanno votato a favore Partido Socialista (Ps), Bloco de Esuqerda (Be), Partido Comunista Português (Pcp) e Os verdes. Astenuti i due partiti di centro-destra Partido Social Democrata (Psd) e Centro Democrata e Social (Cds/PP).
È UN ARGOMENTO molto delicato quello relativo al rapporto tra il dovere di documentare, il diritto dell’opinione pubblica a farsi un’idea e il rischio di creare punti di coagulo per un’estrema destra al momento politicamente inesistente. E poi la politica della memoria e l’uso pubblico della storia assumono un senso del tutto particolare in un paese che ha vissuto in dittatura per un periodo lunghissimo (1926-1974).
SE NE È PARLATO parecchio, se ne parla in continuazione, perché nonostante nessun partito presente nell’Assembleia da República rivendichi apertamente l’eredità del salazarismo, la nostalgia per l’Estado Novo, con tutto ciò che questo rappresenta, è più forte di non quanto possa apparire a un primo sguardo superficiale.
Nel 1974 la rivoluzione dei Garofani e il successivo biennio rivoluzionario sembravano avere abbattuto definitivamente ogni ponte con il passato. E invece nel 2007 un piccolo terremoto faceva capire che le cose erano differenti da come erano sembrate.
ALLA DOMANDA «qual è secondo lei il portoghese più grande di sempre», il 41% del pubblico di un concorso indetto dalla televisione pubblica sceglieva tra tutti proprio Salazar. Un risultato che ha dato molto di che pensare e di che scrivere perché fino ad allora, bene o male, si era ritenuto che il giudizio su quel passato fosse pressoché unanimemente negativo. Invece: nel profondo (r)esisteva un paese nascosto, pronto ciclicamente a riemergere e desideroso di fare sentire la propria voce. Se da una parte la letteratura storica chiariva in modo sempre più preciso la vera natura del salazarismo, dall’altra la consapevolezza in molti strati della società si mostrava decisamente molto scarsa.
Per questo le sinistre hanno insistito tanto affinché un voto, pur dallo scarso valore legale, fosse espresso. Importante perché così è stata proprio la massima istituzione rappresentativa della volontà popolare, quella che la dittatura aveva completamente snaturato, a ribadire quello che è al contempo una verità storica e un giudizio politico: aprire un museo in ricordo di Salazar sarebbe un affronto alle miglia di vittime di quel regime. E il sistema oppressivo era, per quanto si cerchi di edulcorarlo, estremamente efficace e minuzioso. Un vero universo parallelo fatto di censura, propaganda, polizia politica, tribunali speciali e prigioni esclusive per gli oppositori dislocate ai quattro angoli dell’impero.
È SEMPRE FATICOSO per i più fare i conti con il passato, soprattutto quando per farlo occorrerebbe affrontare miti pressoché intoccabili: l’impero, le colonie, la grandezza di quello che sembrava essere un paese immenso e glorioso. Per questo il morbo è tanto pericoloso, perché nei suoi sillogismi banali è molto virulento e quindi difficile resistergli. E poi certo non è facile da sradicare l’idea molto comune che il Portogallo sia fondamentalmente un paese «dos brandos costumes» e che quindi l’Estado Novo non potesse che essere un regime blando, blando nella sua repressione e nella sua ferocissima guerra contro chi chiedeva dall’Angola, Mozambico, Guinea Bissau e Capo Verde il proprio diritto all’emancipazione.
Così la condanna che il parlamento portoghese ha espresso contro il tentativo di fare del salazarismo/fascismo un evento del passato come tanti altri assume un senso che trascende i meri confini lusitani per ricordarci quanto sia importante combattere certe battaglie non solo sul piano accademico ma anche e soprattutto sul piano politico, perché se Be, Ps, Verdi e Comunisti non fossero stati maggioritari, oggi il progetto di istituire un museo apertamente revisionista non sarebbe stato condannato.