La Nota
di Massimo Franco
Forse la sicurezza con la quale la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, decreta il fallimento del sovranismo di fronte al coronavirus, suona un po’ prematura. L’Europa arranca, avanza e poi arretra, fatica a trovare una linea comune: anche se alla fine si rivela in grado di dare risposte solidali, per quanto contraddittorie e sofferte. Ma è indubbio che il nazionalismo sta rivelando i suoi limiti, pur continuando a essere una suggestione latente e potente. Anche i Paesi più forti forse cominciano a capire che non può essere una soluzione, perché finisce per sottolineare debolezze e velleità. In un’intervista all’Osservatore romano, von der Leyen si limita a dire che «i governi nazionalisti nel mondo non hanno risposte da dare»»; e la tentazione di farlo «in modo isolato non è risultata efficace e ha creato problemi». La sua uscita si inserisce in un’offensiva comunicativa dei vertici della Commissione, decisa a sottolineare i passi avanti compiuti dall’inizio del contagio; e a disarmare la narrativa sovranista, in Italia e nel resto del continente. Non a caso arriva con la notizia che il controverso Mes (Meccanismo europeo di stabilità), additato come una trappola per Paesi indebitati come l’Italia, sarà concesso senza condizioni: sempre che i soldi siano spesi per la sanità. Si tratta di un passo avanti che promette di spiazzare, da noi, Lega e Fratelli d’Italia. E mette in mora quei settori del Movimento Cinque Stelle che dalla maggioranza hanno espresso ostilità verso questa linea di credito: col premier Giuseppe Conte, almeno ufficialmente, incline a farne a meno. Ieri i grillini hanno fatto sapere di aspettare di «vedere le carte» dell’Eurogruppo prima che il Consiglio europeo decida a giugno. Ma sembra una resistenza residua e d’ufficio. Ormai il sì del governo italiano si profila come inevitabile. Avrebbe un prestito di circa 37 miliardi di euro: un’opportunità, secondo il segretario del Pd, Zingaretti. Ma che questo basti a esorcizzare le spinte sovraniste e populiste rimane ancora da vedere. La trattativa si sposta sul «Fondo per la ripresa» e sulla sua consistenza. Conte sostiene che dovrebbe essere di «almeno di 1.000 miliardi», da anticipare entro il 2020. Teme che la cifra finale sia di molto inferiore, e che arrivi fuori tempo massimo. Nel primo caso sarebbe una svolta; nel secondo si rischierebbe l’effetto-boomerang. E a quel punto, il sovranismo messo nell’angolo potrebbe additare il «tradimento» dell’Ue a un’opinione pubblica sfibrata dalla crisi.