L’ago della bilancia
di Sergio Romano
Per molti anni l’uomo europeo ha vissuto in un mondo in cui il suo continente era quasi sempre al centro della carta geografica. Vi erano altre potenze, soprattutto in Asia, ma l’Europa aveva sempre una dote particolare. Era la modernità, una straordinaria fabbrica che ha prodotto per molti anni tutto ciò di cui gli esseri umani avevano bisogno: la scienza, l’economia, la letteratura, la giurisprudenza, la fede religiosa, e l’arte in tutte le sue manifestazioni. Vi era sempre uno Stato che aveva ambizioni imperiali e godeva per lunghi periodi di una posizione eminente: la Roma imperiale, la Spagna di Ferdinando e Isabella, la Francia monarchica del grande Luigi, l’Impero britannico di Vittoria e dei suoi successori, l’Austria di Francesco Giuseppe, la Germania di Guglielmo I e di Bismarck. Tutto ciò di cui il mondo aveva bisogno era prodotto e concepito fra le coste settentrionali della Scozia e le spiagge del Mediterraneo, fra Gibilterra e il Bosforo. Gli europei scoprirono altre terre, approfittarono delle loro ricchezze e scambiarono utilmente le loro conoscenze con quelle di altri popoli. Ma fino al 1914 l’Europa era indiscutibilmente il cuore del mondo. Dalla Grande Guerra , tuttavia, la nostra storia ha dovuto cambiare e accogliere fra le righe del suo grande libro quasi tutti i Paesi del globo. Più di un secolo dopo, nel Duemila, il quadro è completamento cambiato. Esistono ancora Stati di media grandezza, ma il mondo ha oggi due grandi potenze ( la Russia e gli Stati Uniti) da cui dipendono in ultima analisi le sorti del pianeta. Questa osservazione non mi sembra rassicurante. I due grandi Stati si detestano e non perdono occasione per farsi continui dispetti. Ed esiste una terza potenza, la Cina, che approfitta dei bisticci russo-americani per manifestare la propria presenza. Ha un passato imperiale e si dimostra particolarmente abile spostando continuamente il suo il peso dall’uno all’altro dei due grandi duellanti. La grande assente in questo quadro è l’Europa. I suoi migliori uomini di Stato sanno da molti anni che sarà ascoltata e rispettata nel mondo soltanto se dimostrerà di avere obbiettivi e una difesa comuni. Lo sapevano negli anni 50 molti protagonisti e i loro eredi: Alcide De Gasperi, Giuseppe Saragat e Carlo Sforza in Italia, Léon Blum, Jean Monnet e René Pleven in Francia, i due Guglielmi, Bismarck e Konrad Adenauer in Germania, Vittoria e persino Winston Churchill in Gran Bretagna. Il progetto stava facendo grandi progressi quando alcuni eventi internazionali (la Guerra di Corea e la Guerra Fredda) modificarono bruscamente l’agenda. Il rischio di un altro conflitto mondiale esigeva una intesa con gli Stati Uniti che, tuttavia, volevano una Europa divisa piuttosto che unita. Vi fu un progetto per la creazione di una Comunità Europea di Difesa, ma morì nell’Assemblea Nazionale francese il 30 ag0sto 1954. Molte cose da allora sono cambiate e l’unità dell’Europa è divenuta per i suoi cittadini sempre più necessaria. Gli europei non hanno ambizioni imperiali, non vogliono colonie e non aspirano alla conquista di altri continenti. Ma non possono ignorare che esistono oggi nel mondo tre grandi potenze — Cina, Russia e Stati Uniti — che hanno i mezzi militari per soddisfa-re le loro ambizioni e proteggere se stesse. Dobbiamo chiedere all’Ue di fare altrettanto. Ha bisogno di un esercito e non manterrà la sua posizione nel mondo se continuerà a essere una potenza disarmata. Qualche uomo di Stato, fra i quali il presidente francese, ha già cominciato a parlarne ed è giunto ormai il momento di ascoltarlo.
La necessità
L’Ue ha bisogno di un esercito: non manterrà la sua posizione nel mondo se continuerà a esserne priva