Il 3 maggio 2016 un ex trader italiano di Lehman, Roberto Rivera, sedeva nello studio del suo avvocato Marco Bertoli a Lugano. Bertoli, un ex procuratore pubblico ticinese, non sapeva che la loro conversazione era registrata e quanto stava per dire sarebbe finito in una denuncia al tribunale di Como. La vicenda che stava per aprirsi resta ancora oggi una di quelle destinate a sollevare domande sulla credibilità del Canton Ticino come destinazione di miliardi di euro di risparmi delle famiglie italiane.
Quel giorno di maggio dell’anno scorso, l’avvocato Bertoli sembra invitare il proprio cliente a versare un milione di euro per liberarsi di una serie di accuse per reati finanziari che da otto anni giustificavano il sequestro del suo patrimonio a Lugano. Poco importa che dal momento dell’incriminazione e del blocco dei fondi, nel dicembre 2008, le indagini non avessero fatto un solo passo avanti. Al contrario. Proprio un mese fa, il 30 ottobre 2017, la Corte dei reclami penali del Ticino ha riconosciuto a Rivera la «denegata giustizia»: a nove anni dal sequestro del patrimonio con accuse per appropriazione indebita, riciclaggio e altre ipotesi così numerose da allontanare molto la prescrizione, la procura di Lugano non aveva fornito «sufficienti indizi di colpevolezza». Eppure la Corte dei reclami non ha mai disposto il dissequestro degli otto milioni di euro di Rivera, neanche dopo aver espresso dubbi sulla legittimità del blocco.
L’imputato ha sempre più l’impressione di essere soggetto a pressioni a pagare in modo da essere prosciolto e poter recuperare quanto resta del proprio patrimonio. Senza neanche andare a giudizio. Nella registrazione del maggio 2016, dice l’ex procuratore ticinese Bertoli al suo cliente italiano Rivera: «Quando ti viene la grande rabbia, che vuoi sparare alle montagne, pensa che ci sono queste eventuali altre…». Rivera chiede chiarezza: «Supponiamo che io accetti e paghi questo milione… Cioè dobbiamo chiuderci in un ufficio, fare la transazione, darci la mano?». «Sì – è la risposta dell’avvocato, ora leggibile in una registrazione giurata -. Dovete piantarvi due schiaffoni e dire: da qui in avanti siamo amici».
Quello non sarebbe rimasto l’unico accenno a una richiesta di denaro a Rivera per chiudere il caso e sbloccare i suoi risparmi. In un’altra conversazione registrata del 7 novembre 2016 il procuratore di Lugano Andrea Gianini, titolare del caso contro l’ex trader di Lehman, dice all’avvocato dell’imputato Massimo Riccardi e a un perito di parte: «Lui non può dirmi che se ne frega. Lui deve venir qua a dire: “Io qualcosa lascio (…)”. E questo permette a me, al di là della morale di quello che dice lui (da nove anni Rivera si professa innocente, ndr ), mi permette di giustificare una decisione di assoluzione». Più oltre Gianini aggiunge: «Quando ci sono i soldi di mezzo trovi l’accordo dappertutto».
Rivera, 48 anni, sposato e con tre figli, è uno strano tipo di lupo solitario. Lui stesso, rendendosene conto, ha trasformato la sua stessa peculiarità in una carriera sui mercati finanziari. All’ex trader i medici hanno diagnosticato un disturbo ossessivo-compulsivo e una lieve sindrome di Asperger, una forma di autismo che ottunde l’emotività, acuisce il pensiero razionale e porta le persone a concentrarsi smodatamente sui numeri o le geometrie oggetto del loro interesse. Rivera ha problemi nelle relazioni sociali ed è patologicamente incapace di dissimulare, ma imbattibile negli arbitraggi sui derivati. Dal 2001 ha guadagnato in media oltre il 25% annuo. Nel dicembre del 2008, crollata Lehman, la procura di Lugano nota l’esplosione di valore di un comparto dedicato a Rivera in un fondo che operava tramite la Aston Bank. Aston è una banca ticinese che sarebbe fallita in quegli stessi mesi, nel caos della crisi finanziaria. A causa degli alti rendimenti di Rivera («mirabolanti performance», secondo l’accusa), i magistrati di Lugano ipotizzano che l’italiano abbia sottratto fondi a Aston Bank. Contro di lui scatta il sequestro del patrimonio con l’accusa di amministrazione infedele, appropriazione indebita e riciclaggio. Per avere un esame dei periti della procura si dovrà attendere il 2015: quelli certificano che le operazioni di Rivera sono tutte trasparenti e a prezzi di mercato. Eppure, anziché il proscioglimento, arriva una richiesta di pagare un milione o anche di più. Già nel Duemila il giudice ticinese Franco Verda finì nei guai dopo aver chiesto 800 mila franchi per il dissequestro di un deposito da tre milioni di un affiliato di Cosa Nostra. Rivera invece non lo è. È solo un ex trader senza troppi rapporti sociali. Dapprima ha provato a scrivere all’ambasciata italiana a Berna e al ministero degli Esteri a Roma, senza ottenere risposte. Alla fine è entrato nella stazione dei carabinieri di Tremazzina, il suo paese in provincia di Como, ed è lì che ha dettato la sua denuncia.
Corriere della Sera – Federico Fubini – 03/12/2017 pg. 1 ed. Nazionale.