di Amos Oz
La mattina dopo lo scioccante massacro di giornalisti e vignettisti a Parigi io speravo che ogni singolo giornale, ogni pubblicazione, ogni rete televisiva, ogni tipo di media nel mondo avrebbe pubblicato e diffuso le vignette controverse per farle conoscere in tutti gli angoli della Terra. Questa avrebbe dovuto essere la risposta appropriata a quel crimine tremendo.
Tante persone sono oggi furiose con i musulmani. Non dobbiamo però dimenticare che tutto questo ha prima di tutto a che fare con i fanatici e non con i musulmani. La piaga del Ventunesimo secolo non è l’Islam, bensì il fanatismo. Gli assassini di Parigi questa settimana hanno molto più in comune con i cristiani violenti e gli ebrei razzisti che non con i musulmani pacifici.
Forse è arrivato il momento di smetterla di confondere il multiculturalismo e il politicamente corretto con l’assoluto relativismo morale. L’assassinio è un male assoluto, non un male relativo.
Alcuni avvocati del multiculturalismo radicale, alcuni fedeli fanatici del politicamente corretto ci dicono oggigiorno: «Bene, voi siete tra coloro che credono nella libertà di parola, altri credono nella parola di Allah, quale è la differenza tra voi e loro?». Bene, la differenza sta nel fatto che i sostenitori della libertà di parola non massacrano i seguaci di Allah, mentre al contrario una minoranza tra i seguaci di Allah stanno massacrando i sostenitori della libertà di parola.
L’estate scorsa sono stato costretto al ricovero in ospedale per alcune settimane e mi è accaduto di avere alcune interessanti conversazioni con un’infermiera araba. Uno dei suoi argomenti era che milioni di spettatori delle televisioni in tutto il mondo sono indotti a guardare di continuo le manifestazioni pubbliche di musulmani isterici ed estremisti, urlanti slogan fanatici, ripresi a minacciare con i pugni le telecamere. Ma nessuno può mai vedere alla televisione i milioni di musulmani che, proprio durante quelle aggressive manifestazioni, siedono nelle loro case con le porte e finestre serrate, rosicchiandosi le unghie. Quell’infermiera mi implorò che, per favore, mai dimenticassi non le centinaia di militanti in corteo per le strade, quanto piuttosto i milioni di pacifici musulmani rimasti nelle loro abitazioni.
Nel mondo islamico persiste un forte sentimento di frustrazione, rabbia, un profondo senso di sconfitta ed umiliazione. Solo i musulmani potrebbero e dovrebbero provare ad confrontarsi con questi sentimenti e cercare di guarirli.
Forse il problema più doloroso in molte società musulmane sono semplicemente i mariti. Intendo i mariti che obbligano le mogli a restare ignoranti, isolate e separate. Una donna ignorante ha molto poco da dare ai suoi figli piccoli. Un bambino che riceve poco dalla mamma nell’età prescolastica è quasi certamente destinato a restare molto indietro e spesso finisce per diventare una persona risentita, frustrata, persino violenta.
Quest’ultima è probabilmente una delle questioni più penose che le società musulmane sono chiamate ad affrontare e risolvere. Sino a che ciò non avverrà noi dovremmo tracciare una chiara linea di distinzione tra pluralismo e sottomissione, tra tolleranza e arrendevolezza, tra la necessità di trattare in modo rigoroso contro i fanatici violenti e invece rispondere con fanatismo altrettanto isterico.
Scrittore israeliano
(Raccolto e tradotto
da Lorenzo Cremonesi)