IL DOLCE DOMANI: BANANA YOSHIMOTO E L’ARTE DELLA SOPRAVVIVENZA

Come si può apprezzare la vita dopo aver perso la persona che si ama? Banana Yoshimoto indaga tutte le tappe del confronto umano con la tragedia più cupa: in “Il dolce domani” (Feltrinelli) una apologia del dolore di precisissima intensità.

“Non so che succede, ma sono viva, e allora devo vivere, e vivrò, e questo pensiero mi teneva lontana dal regno dei morti.”

In un pomeriggio di fine estate, due giovani fidanzati sono di ritorno dalle terme.
Ancora intorpiditi dalla quiete e dal calore, siedono in macchina l’uno accanto all’altra, attraversando insieme le strade silenziose di Kyōto. L’unico suono che riverbera nell’abitacolo è la voce di Leonard Cohen che canta Lover, Lover, Lover.
D’improvviso, avviene l’incidente che stravolge per sempre le loro vite. Sayoko viene ferita all’addome, colpita da un bastone di ferro che le attraversa la pancia da un lato all’altro. Yōichi muore.

Queste le drammatiche premesse che aprono Il dolce domani, ultimo romanzo della scrittrice giapponese Banana Yoshimoto, conosciuta in Italia fin dal 1991, quando Kitchen conquista una platea di lettori vastissima.

Dal dolore insopportabile all’accettazione consapevole della sofferenza, dall’amore per chi c’è ancora alla gratitudine per essere semplicemente vivi. Dalla ricerca del proprio mabui, fino alla rinascita vera e propria. Come si può apprezzare la vita dopo aver perso la persona che si ama? Un paradosso. Con Sayoko, la Yoshimoto ci riesce. Un romanzo eccezionalmente breve che ripercorre tutte le tappe del confronto umano con la tragedia più cupa.

La sensazione di vuoto incolmabile che Sayoko prova dopo la morte di Yōichi è il riflesso della relazione che avevano costruito insieme, fatta di amore libero e profondissimo. Sayoko è persa, prima di chiedersi come continuare il suo viaggio, bruscamente interrotto, deve capire se ancora lo desidera. Affascinante è l’affresco che l’autrice dà delle città protagoniste del romanzo: Tōkyō e Kyōto diventano simbolo dei due amanti e della distanza che li ha sempre separati.

Dopo le prime pagine strazianti, prende forma un’apologia del dolore, valorizzato in quanto esperienza capace di raffinare e impreziosire la relazione tra individui. La nostalgia stessa diventa il motore di una nuova partenza, aiuta ad andare oltre il trauma, ad interrogarsi sui propri desideri e, nel caso della protagonista, a scegliere di continuare a vivere. Sopra ogni cosa, Il dolce domani è un romanzo sulla solidarietà fra esseri umani e sull’amicizia. All’inizio della sua nuova vita, Sayoko incontra due persone. Ciò che li lega è “l’incedere pieno di grazia” che il peso del dolore porta con sé. Insieme riescono a guardarlo in faccia, ad affrontarlo, ognuno a suo modo e ne ottengono in cambio una quiete profondissima.

Non c’è giudizio, ogni forma di “domani” è ben accolta, basta che funzioni. Sayoko riparte con una casa nuova dove far crescere i ricordi della vita con Yōichi e trasformarli in coraggio. Ataru si costruisce un mondo irreale in cui vivere che gli dona pace e serenità. Shingaki, da dietro il bancone del locale dove lavora, vede la speranza nella sua cliente preferita, Sayoko.

Ma non è tutto qui. Nel “non detto”, si cela un omaggio all’Arte che si rifà alla sua concezione più antica, come accesso diretto all’eternità, come unica possibilità di conservare ed elevare la fragile eredità degli uomini. Di Yōichi, sopravvivono il legno e il ferro delle sue sculture, il suo studio di Kyōto. Yoshimoto mostra l’arte nella sua essenza materica e, così facendo, la innalza fino a renderla fonte di immortalità.

Un tema che ritorna come fil rouge del romanzo è quello della maternità. Protagoniste la madre di Sayoko e, soprattutto, quella di Yōichi, che con commovente dolcezza ritrova nella fidanzata del figlio la gioia di essere genitore. Madre mancata è la stessa Sayoko che, distrutta l’ultima illusione di una gravidanza, perde per sempre l’occasione di dare alla luce i figli dell’uomo che ama. E ancora, la madre ritorna sotto forma di fantasma con Ataru, che alla sua dedica l’intera vita.

Al termine del romanzo, in una prefazione che, allo stesso modo del romanzo, non aggiunge una sola parola in più necessario, si legge una dedica alle vittime e ai sopravvissuti del terremoto che nel 2011 ha scosso il Giappone, causando il disastro nucleare di Fukushima. Oltre che una preghiera accorata, Yoshimoto ne fa una raffinata dichiarazione di poetica:

Io non scrivo opere colossali, che mettano tutti d’accordo: posso solo, nel mio piccolo, rivolgermi a quei pochi che, per un motivo o per un altro, si sentono aiutati, o confortati, leggendo i miei romanzi.

 

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