Il coronavirus e le polemiche sulle messe aperte al pubblico

Siena – Ora che è stato finalmente raggiunto con piena soddisfazione delle parti un dettagliato accordo tra governo e Conferenza episcopale italiana in merito ai criteri da osservare nella ripresa delle celebrazioni di messe aperte al pubblico, di battesimi matrimoni e funerali non sarà superfluo esaminare i passaggi di un non facile percorso.

È giusto riconoscere alle gerarchie ecclesiastiche, nel loro insieme, un pronto senso di responsabilità all’inizio della tortuosa vicenda. I mugugni o i dissensi che si son levati per una presunto eccesso di obbedienza alle limitazioni d’acchito decretate oggi più che mai appaiono incongrui.

Anzi: l’immediatezza con la quale si sono, quasi ovunque, accettate le direttive statali è stata una tempestiva attitudine d’amore e considerazione verso la vita di tutti. Quando ancora non era chiaro l’impeto di diffusione e il grado di pericolosità del Covid-19 si è preferito uniformarsi ad una condotta rigoroso e prudente, riservandosi successivamente di affinare temi dai molti risvolti.

Sarebbe stato preferibile che si fosse ingaggiato un aspro contenzioso invece che avviare un’agenda di incontri con il governo e i suoi  consulenti per approdare ad un’efficace e minuziosa regolamentazione?

Se la tempistica non ha consentito di trattare le questioni con la delicatezza che meritavano, e assicurando loro una specifica autonomia rispetto ad altri momenti di cerimonialità, non si è fatto certo per sottovalutare l’importanza da attribuire alla materia.

Che, oltretutto – e questo punto non è quasi mai stato osservato dai critici – non investiva soltanto il modo cattolico (vedi quanto disposto in Francia), ma tutte le confessioni e le relative pratiche cultuali. Purtroppo si son registrati, non saprei dire in che misura, toni che hanno più o meno esplicitamente usato la linea fatta propria dalla Chiesa per innestare contestazioni. Presi di mira questo e quel presule, questo o quel parroco.

Papa Francesco è stato sospettato di essere più proclive alla volontà del governo che alle perplessità avanzate da vaste aree dell’episcopato. È onesto dare atto che la Conferenza episcopale toscana, attraverso il cardinal Betori ma anche, tra gli altri, con la dichiarazione dell’arcivescovo di Siena Lojudice (non a uso a impiegar mezze parole) ha manifestato una pronta condivisione di sostanza, pur rinviando a opportuni approfondimenti.

In seguito però le pressioni avverse alla necessitata sospensione si sono fatte insistenti e non sono mancate accuse di capitolazione. Anche la Chiesa toscana si è divisa. Taluni interventi hanno manifestato una buona dose di integralismo quasi si dovesse scatenare una guerra di religione per attentato alla libertà religiosa.

Eppure il testo della Gaudium et spes (n. 76) non è ambiguo: «La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Ma tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale degli stessi uomini. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace, quanto più coltiveranno una sana collaborazione tra di loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo».

E più oltre: «Anzi essa rinuncerà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti ove constatasse che il loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni». E le circostanze drammatiche di una lacerante pandemia hanno sollecitato a diramare con urgenza nell’interesse universale misure transitorie di contenimento, che dal 18 maggio saranno correttamente modificate e attenuate in base all’evolversi della non placata tempesta.

Così gesti e simboli rituali non sono stati affrettatamente eliminati o compressi, e saranno armonizzati con i criteri suggeriti dalle variegate realtà. Spetterà alle autorità ecclesiastiche di ogni ordine e grado controllare l’effettivo concretizzarsi delle norme definite, avendo a guida il principio morale della responsabilità richiamato, in altro contesto, dalla dichiarazione Dignitatis Humanae: «nell’esercitare i propri diritti i singoli esseri umani e i gruppi sociali, in virtù della legge morale, sono tenuti ad avere riguardo tanto ai diritti altrui, quanto ai propri doveri verso gli altri e verso il bene comune».

La Chiesa non è uno Stato svincolato da ogni obbligo, ma una Comunità chiamata a attuare lealmente, nella sua riconosciuta autonomia istituzionale, e sulla base del protocollo concordato e con gli adattamenti opportuni, indirizzi finalizzati al bene universale. In caso di trasgressione spetterà ai prefetti, secondo il discusso dpcm, intervenire a garanzia di tutti e di tutte le confessioni.

Che insorgessero discussioni e dubbi era inevitabile. Non che si approfittasse di circostanze tanto impreviste dolorose per issare bandiere da crociata o addirittura ipotizzare chissà quali astuzie diplomatiche – filocinesi? – da parte di Papa Francesco e i suoi collaboratori a copertura di presunte debolezze.

Gli integralisti esibiscono volentieri un’arcigna malevolenza e vedono ovunque nemici in agguato.

Roberto Barzanti