Il catalogo dei Giusti del mondo

Ambientalisti, medici, missionari: quelli che si spendono nelle tragedie. Pietro Del Re li ha raccolti in un libro
di Bernardo Valli
Distinguere e raccontare gli altruisti, i paladini, i pacificatori, i ribelli, insomma i giusti dispersi nel mondo dei senza pietà, è l’arduo esercizio al quale si è dedicato Pietro Del Re. Ne è uscita un’antologia insolita, in cui i protagonisti armati di passione e coraggio assistono il prossimo o escono senza macchia, incolumi moralmente, dalle tragedie. Del Re, di professione reporter di guerra, cronista di rivoluzioni e catastrofi, nel suo libro fa prevalere il sentimento. Invece di rinchiudersi nel cinismo, come può accadere a chi fa il suo mestiere, questa volta ha spesso usato il cuore. Non c’è tuttavia traccia di pietismo in quel che scrive. Racconta con il piglio del reporter di guerra le vicende dei suoi eroi: i protagonisti di Dalla parte giusta (Baldini+Castoldi), un libro alla ricerca di una virtù non sempre coltivata sui sentieri battuti professionalmente da Pietro Del Re. L’esercizio richiede talento.
Prima tappa Baghuz, in Siria. Dalil Hagi ha tredici anni, e dal suo corpo scarno si capisce che nell’ultima trincea dello Stato Islamico, sulle rive dell’Eufrate, da dove è fuggito, ha patito la fame. Il reporter lo incontra poco dopo il ritiro, la fuga, degli uomini dello Stato Islamico e l’arrivo delle Forze democratiche siriane, l’alleanza curdo- araba sostenuta da Washington. Il ragazzo gli racconta la morte dei genitori e di due fratelli durante i bombardamenti di Raqqa. Gli uomini del califfato rispondevano con calci alle sue richieste di un po’ di cibo. Adesso l’incubo è finito, ma Dalil non ha una casa, non ha più neanche una nazionalità. Ha però da mangiare e ha conservato lo spirito di un ribelle, categoria in cui lo colloca con amicizia l’autore.
Una mano ustionata dall’olio bollente gli ha evitato di partecipare alle battaglie come gli altri giovani orfani dei “martiri”, a fianco dei combattenti del califfato. La ferita è stata una fortuna. La sola. Mostra la mano fasciata come un amuleto. Dalil si considera un favorito dalla sorte rispetto ai figli delle yazide (fedeli di una religione arrivata in alcune regioni prima dell’Islam). Le loro madri, rapite a Sinjar nell’Iraq settentrionale, sono diventate schiave sessuali e sguattere. Per Dalil la morte della madre sotto le bombe è stata più dignitosa.
Sempre a Baghuz, il nostro reporter ha seguito la resa degli uomini dello Stato Islamico acquattato sul tetto di una casa bombardata. E da quell’osservatorio, condiviso con altri giorna-listi, vede sfilare con le braccia alzate i foreign fighters che hanno appena gettato le armi con le quali volevano estendere il califfato a tante regioni del Medio Oriente. Sono seguiti dalle loro donne cariche di valige e fagotti, e dai figli spauriti e affamati come i genitori. Più che dalla paura, dall’umiliazione, i combattenti appena arresi sembrano attanagliati dalla fame. Finisce così (“con i crampi allo stomaco”) il sogno di un moderno califfato. Del quale restano soltanto un paio di chilometri quadrati dove si resiste ancora. Un giovane ufficiale delle Fds (Forze democratiche siriane), Ali Sud, dice che la notte la passa sveglio per assistere ai bombardamenti sui nidi di resistenza del califfato. Prima di arruolarsi ha visto i jihadisti uccidere il padre e due suoi fratelli. È un curdo e vuole vendicare non solo i martiri della famiglia, ma anche le donne stuprate, decapitate, i contadini crocifissi, massacrati e filmati mentre agonizzavano. Nel Kurdistan iracheno i jihadisti rubavano il petrolio, bruciavano i pozzi. Quando per la prima volta ha ucciso in combattimento un uomo del califfato, Ali Sud si è sentito «più sereno».
Il giovane ufficiale curdo non prova pietà per i prigionieri feriti, stesi sulla terra nuda. Uno dice di essere francese. Afferma di chiamarsi Frank Abdel Moussa. Ha una gamba fasciata per una ferita ormai in cancrena. Dice che voleva battersi fino alla fine, ma che i suoi superiori gliel’hanno impedito e gli hanno ordinato di arrendersi. Ma è convinto che lo Stato islamico rinascerà, magari tra cent’anni. L’ufficiale curdo, Ali, lo zittisce, gridandogli di ricordare i cinquemila curdi che lui e i suoi compagni hanno trucidato.
Il viaggio di Pietro Del Re non si limita al Medio Oriente. L’itinerario, alla ricerca dei giusti, è quello che ha seguito per lavoro. Passa per l’Indonesia, il Kosovo, la Nigeria, il Senegal, il Mozambico, il Sudafrica, l’Etiopia, la Turchia, l’Afghanistan, la Sierra Leone, la Thailandia, l’Armenia, e ancora l’Ucraina, il Belgio, i Paesi Bassi, la Francia, la Grecia, la Turchia, il Lussemburgo. Se ho dimenticato qualche tappa mi perdonerà.
Non si muove sempre nella veste del reporter di guerra. Ritorna a Freetown, nella Sierra Leone, un anno dopo la fine dell’epidemia di Ebola, e incontra Enzo Pisani, sessantadue anni, e da trentasette nell’Africa più povera, dove è chirurgo, ginecologo, medico generico e, quando è necessario, nell’emergenza, come quando imperversava l’Ebola, anche ufficiale sanitario. In particolare mentre si trovava nel Sud del Paese, nel distretto Pujehun, dove i morti erano decine ogni settimana. Adesso insieme a un altro ginecologo, Alberto Rigolli, sta organizzando una clinica ostetrica nella capitale dove c’è il più alto tasso di mortalità materna. Nella Sierra Leone, dove si cicatrizzano le ferite di Ebola, Pietro Del Re fa il ritratto di coloro che si prodigarono per soccorrere le vittime dell’epidemia. Ansumana Bangura, studente in ingegneria, raccoglieva i moribondi e insegnava come tentare di difendersi dal contagio alla gente barricata nelle case.
In Dalla parte giusta vi sono capitoli dedicati agli ambientalisti norvegesi che vogliono ridurre l’estrazione del petrolio; e a quelli del Mozambico che difendono l’ultima foresta inviolata. Il sottotitolo del libro è Donne e uomini che salvano il mondo . Sempre più spesso, nei luoghi dove lo porta il mestiere, i primi ai quali si rivolge l’inviato di Repubblica per trovare un alloggio sicuro e per avvicinarsi al fatto che deve raccontare, sono operatori umanitari, volontari di un’associazione benefica, missionari e più in generale persone impegnate ad aiutare gli altri. Pietro Del Re non sfugge certo alle fonti ufficiali, ma gli capita di trovare altrove la verità di cui ha bisogno per il suo lavoro. Un oppositore in fuga incontrato nel suo nascondiglio di Bujumbura gli ha fatto capire meglio di chiunque altro la ferocia del regime del Burundi. E, grazie a un funzionario del Wwf indonesiano, il giornalista denuncia la distruzione della straodinaria foresta del Borneo, negli ultimi vent’anni, per fare spazio a nuove piantagioni di palma da olio.
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