IL CAOS GRILLINO È LO SPECCHIO DEL CONFLITTO SU URNE E COLLE

 

di Massimo Franco

 

Le contorsioni grilline sulle candidature al Quirinale fanno girare la testa. Ma non devono ingannare. Dietro il rosario dei nomi, al di là dell’idea di «una donna presidente»,fino al rilancio di un secondo mandato di Sergio Mattarella, affiorano due costanti inconfessabili: il conflitto mai sopito tra il leader Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio; e il tema delle elezioni anticipate. Sono discriminanti che attraversano i gruppi parlamentari. Emergono sulla stampa e sui siti grillini.

E rivelano manovre e veleni destinati a condizionale le votazioni per il capo dello Stato. A prima vista, la confusione che regna nel Movimento è una metafora di quella dell’intero Parlamento. D’altronde, il M5S esprime la maggioranza relativa dei seggi. E, per quanto ogni elezione successiva al 2018 ne abbia rivelato a dir poco il dimezzamento, rimane decisivo: se non altro come potenziale massa di manovra. Per questo è corteggiato un po’ da tutti: perfino da Silvio Berlusconi, fondatore e capo di FI con ambizioni quirinalizie. Berlusconi vede il disorientamento e il timore di un voto anticipato, considerato da gran parte degli eletti e delle elette del M5S come un capolinea. E il contrasto tra Conte e Di Maio ha origine in primo luogo da un atteggiamento diverso nei confronti delle urne. L’ex premier, mai eletto né candidato a un’elezione, ha detto di recente di volere entrare in Parlamento «dalla porta principale», e cioè con la legittimazione delle urne. E l’ha dichiarato rifiutando di presentarsi in una sfida suppletiva a Roma: forse anche perché i sondaggi non erano rassicuranti e all’altezza della sua popolarità.

Il suo «no» fu visto, perfino tra i Cinque Stelle, come un’opzione per il voto anticipato: prospettiva che gli permetterebbe di comporre le liste inserendo persone di fiducia. E dopo gli attacchi subiti nelle ultime ore dai gruppi parlamentari grillini, si comprende meglio come una prospettiva del genere possa non dispiacere a Conte, a rischio di «commissariamento». Di Maio, invece, è il portavoce di deputati e senatori che sono terrorizzati da una fine anticipata della legislatura; e che, pur non ammettendolo, si sono pentiti della legge costituzionale fatta approvare dal M5S per ridurre di un terzo il numero dei parlamentari. Per la maggior parte di loro, significherebbe non tornare mai più alle Camere. Dunque, il voto nel 2023 diventa una questione quasi esistenziale. A questo si aggiunge un rapporto con Mario Draghi agli antipodi. Fin dall’inizio, Conte e i suoi seguaci lo hanno attaccato in modo pregiudiziale: quasi avesse «usurpato» Palazzo Chigi. Di Maio, al contrario, non nasconde il suo apprezzamento per Draghi, ultimamente ricambiato: se non altro perché è il ministro degli Esteri del suo governo, ma forse anche perché capisce che potrebbe rivelarsi non un acceleratore ma un antidoto alle urne anticipate. L’esito del voto al Quirinale dirà chi ha vinto e chi ha perso tra i due.

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