di Massimo Franco
I fronti aperti rimangono tre. E non sono trascurabili, per il centrodestra. Si tratta dei rapporti con l’Unione europea; dell’accettazione del prestito del Mes; e delle candidature alle prossime elezioni regionali. Costituiscono altrettanti ostacoli per la ricostruzione di uno schieramento da opporre al governo tra M5S e Pd. Lasciano emergere in modo vistoso la sorda lotta per la leadership tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni. E danno un vantaggio oggettivo all’esecutivo esangue di Giuseppe Conte, perché Lega, FdI e FI non riescono a presentarsi come un’alternativa: non ancora.
Avere chiesto al premier di andare in Parlamento per discutere con loro lì e non tra gli stucchi di Villa Pamphili, e poi lasciare l’aula, ha permesso a Conte di dichiararsi «confuso» per l’atteggiamento di Lega e FdI. Lo spettacolo di ieri, con i berlusconiani presenti mentre leghisti e FdI uscivano durante l’informativa sul Consiglio europeo, ha mostrato una doppia contraddizione: verso il governo e al loro interno. Salvini, leader del Carroccio, sostiene che se si andasse a votare domani «il centrodestra, pur tra i distinguo, avrebbe un’idea e un programma comune». Ma sono parole che riflettono un eccesso di ottimismo. Anche perché Salvini ha ribadito il suo «no» ai 37 miliardi europei del Mes, da spendere per puntellare il sistema sanitario.
Di più: ha criticato di nuovo Silvio Berlusconi, sostenendo che su quel prestito «ha le stesse posizioni di Renzi e di Prodi». Eppure, nella Lega le perplessità sul Mes non sono uniformi. Si percepisce la preoccupazione di pezzi dell’elettorato per una politica che schiaccia il partito su posizioni estremiste. Soprattutto, dentro FI le riserve sono opposte a quelle salviniane: nel senso che la Lega e FdI hanno le stesse posizioni anti-Mes rivendicate ufficialmente dal M5S, e assecondate da Conte.
Evocano un populismo trasversale che indebolisce l’Italia rispetto alle altre nazioni europee. E provocano una crepa nella destra che può diventare un burrone politico una volta arrivati alle soglie del governo. La sintonia con le istituzioni europee è un prolungamento della politica interna: tanto più in una fase in cui gli aiuti della Bce e della Commissione sono fondamentali per puntellare il sistema economico. L’intervento di ieri alla Camera del berlusconiano Renato Brunetta è stato tanto critico con l’esecutivo quanto aperto alle ragioni dell’Ue.
Nell’immediato, la prova lampante dei contrasti tra le forze d’opposizione è offerta dai continui rinvii sulle candidature per le elezioni regionali in autunno. I programmi sarebbero già stati completati. Ma sia in Campania, sia in Puglia, Salvini, Meloni e Berlusconi non riescono a trovare un accordo sui candidati. Conflitto rischioso, per chi punta sui successi a livello locale per scardinare il governo nazionale. Già si è visto a gennaio in Emilia-Romagna: l’inizio dell’appannamento della stella di Salvini è cominciato proprio da quella sconfitta.