Frammenti d’infanzia, incubo tsunami, animali spaventosi Così il nostro inconscio svela la sofferenza dell’isolamento
di Vittorio Lingiardi
Era un’impresa doppiamente rischiosa, nella domanda e nella risposta. I nostri lettori avrebbero accolto l’invito a raccontarci cosa hanno sognato in questi mesi di quarantena? Saremmo riusciti, a partire dai loro testi, a costruire un racconto onirico della comunità, ricercando temi comuni e mettendo alla prova l’idea che l’inconscio è un laboratorio individuale ma anche collettivo, dove abita l’irripetibile storia di ciascuno ma respirano gli eventi che attraversano il mondo? Il secondo rischio era vestire i panni dell’oracolo cialtrone, atteggiarsi a negromante psicoanalitico, interpretare in pubblico il mondo privato del sogno, impercorribile al di fuori di un contesto clinico fecondato dalle associazioni del sognatore. Non solo: i sogni sono per definizione ambigui e nessuno ha ancora capito la sostanza di cui sono fatti. Io li considero officine immaginali che al tempo stesso ci sfuggono e ci sostengono, seminando, nei campi di Psiche, storie che ci accompagnano per un giorno o tutta la vita. Non c’è forse bisogno di un lavoro notturno per elaborare il trauma collettivo che stiamo vivendo in questi mesi? La grande partecipazione dei nostri sognatori, che ringraziamo per i più di 130 sogni che hanno inviato, indica che questa narrazione onirica abbiamo voglia e bisogno di farla. Ma non è solo il bisogno della condivisione. Come i clinici sanno, la dimensione post-traumatica accende neurologicamente il mondo onirico (lo dimostrano gli studi sui sogni dei newyorkesi dopo l’attacco alle torri gemelle). Dunque immergiamoci in questa generosità onirica. Per motivi di spazio non posso riportare qui i brani dei sogni che ho scelto: un mio commento più esteso lo trovate sul sito di Repubblica. Elemento ricorrente è l’acqua, in forma d’inondazione o tsunami. Anche se per Eraclito “la morte per le anime è divenire acqua”, nei sogni l’acqua compare in modi infiniti e inclassificabili di vita e di morte. Ma qui lo tsunami è lo spavento di fronte all’evento traumatico, il residuo psichico soverchiante che lo psicoanalista americano Bromberg definisce “l’ombra dello tsunami”. Per tutti, il sogno di una lettrice: «Un balcone affacciato su un mare placido. Improvvisamente noto un’espressione di terrore sul volto di una signora. Il mare si sta ritirando. Attimi di panico. Un lampo nel cervello: è uno tsunami! ». Altro tema molto presente è quello della contaminazione, accompagnata da angoscia ma anche dalla capacità di fronteggiare la minaccia o superare in modo brillante lo spavento. Un contagio portato dagli animali, ma anche da oggetti o persone. Due esempi: «Un topo-pipistrello bianco vola verso il frigo in cerca di cibo»; «Una penna di inchiostro mi scoppia sul viso creando macchie indelebili nonostante i ripetuti lavaggi con acqua e sapone». Un altro grande tema è la separazione: come isolamento, incomprensione, distanza fisica o affettiva. «Un amico mi saluta con un bacio sulla guancia! Sono infastidita e preoccupata, mi allontano chiedendomi: ma non ha capito che bisogna mantenere la distanza di sicurezza!?» Altri sogni parlano di convivenza. Quella domestica, naturalmente, ma anche quella sociale, trasgressioni e punizioni comprese: «Arrivano due camionette della polizia per multare tutta la gente che sta violando le leggi sul distanziamento sociale». Ci sono i sogni di conforto, la presenza di un rifugio, la casa dell’infanzia, la memoria, la natura nella sua clemenza. «Sono in riva al mare, sento il vento sul viso … i miei genitori (in realtà morti) sono in buona salute e più giovani». C’è un passato che ritorna, a volte come incubo, qui come carezza. E questo mi fa pensare a un sentimento che avverto nell’aria, in parole pronunciate con pudore: una specie di “nostalgia della quarantena”, la regressione, per alcuni creativa, nella vita sospesa. Molti sogni “mettono in scena” la pandemia, con immagini archetipiche di pestilenza come teatro di morte e apocalisse. «Camminavo in mezzo a una mandria di mucche morte, bianche, una sopra l’altra, altre sono vive, marroni, e mi guardano». Ma ciò che più mi ha sorpreso, che non mi aspettavo, è la frequenza dei sogni di maternità. A pensarci bene dovevo invece aspettarmelo: non è tanto più forte, nei momenti mortiferi, il desiderio di vita? Sogni di donne sorprese dalla gravidanza, preoccupate, protettive, selvatiche. Voglio pensare questi sogni come epifanie di attesa e rinascita, doni dell’inconscio femminile che della vita e della morte conosce il segreto molto più degli uomini.