Il peso irriducibile della Storia e il modo in cui la sua ombra si stende in forma implacabile sul presente. Nella Trieste di Veit Heinichen nulla accade per caso e nessun mistero, per quanto immediata possa apparirne la causa, conta radici che non coinvolgano almeno un paio di generazioni. Al punto che per arrivare alla verità, per quanto fragile e incerta possa apparire, non si può smettere di interrogare la memoria di persone e luoghi, il rimosso e il dimenticato che si annidano tra i monumenti anneriti dal tempo e le biografie degli ultimi.
IL RITORNO DI PROTEO LAURENTI, personaggio chiave dell’indagine narrativa che da circa vent’anni lo scrittore di origine tedesca conduce tra Trieste e il Carso, non smentisce questo affascinante marchio di fabbrica. In Lontani parenti (e/o, pp. 278, euro 18, traduzione di Monica Pesetti), lo sbirro salernitano che nel corso di più di dieci romanzi da commissario è finito per diventare vicequestore a Trieste, deve infatti misurarsi con un capitolo doloroso e senza pace delle vicende locali.
Una serie di delitti a prima vista inspiegabili che sembrano saldare i conti con un passato di dolore e tragedie, con quelle pagine di ferocia che in città furono scritte sul finire della guerra, tra le rappresaglie dei nazisti sui prigionieri e l’ex essiccatoio trasformato in forno crematorio della Risiera di San Sabba.
«Passare? Qualcuno vuole avere la cortesia di spiegarmi come fa a passare qualcosa che appartiene già al passato? Al limite si può dimenticare o falsificare», suggerisce a Laurenti un’amica di famiglia che di quei fatti è stata tragicamente una testimone diretta e che, al pari del poliziotto che sopporta malvolentieri il vento di destra che soffia sul Paese, guarda con preoccupazione ai tentativi di edulcorare il ricordo del passato regime. O di farne apertamente l’apologia. Perché, come sempre avviene nelle storie di Heinichen, indagare i contorni di quanto è accaduto un tempo significa «sporcarsi le mani» con un presente magari meno spaventoso, ma non per questo meno inquietante.
IN QUESTO CASO, mentre la scia di quelle che appaiono via via sempre più come delle «esecuzioni» che sembrano colpire a decenni di distanza, e per generazioni interposte, una o due a seconda dei casi, figli e nipoti di quanti tra i fascisti italiani o sloveni, i cosiddetti «domobranci», o tra i nazisti stessi, furono all’origine di massacri tra i partigiani e la popolazione civile, anche il contesto nel quale si muovono i protagonisti del romanzo ha un sottofondo sinistro. Il dibattito pubblico è dominato dal populismo di destra che, quanto al passato confonde volutamente vittime e carnefici, quando non tocca apertamente le corde della nostalgia.
Uno scenario che consente a Heinichen di consumare a sua volta delle innocue e irriverenti vendette. Come quando due dei possibili responsabili della serie di omicidi insoluti vengono ripresi dalla telecamera di sorveglianza di una banca vicino ad una delle scene del crimine, rivelando agli inquirenti «il viso pacioccone di un uomo sulla quarantina con una barbetta nera accanto a quello di una donna bionda e bassa con gli occhi sporgenti e un rossetto troppo rosso sulle labbra dalla piega dura». Maschere di plastica che nascondendo il volto dei sospetti ma mostrano quello dei «due leader della destra populista». Che, per residuo pudore, né i personaggi né l’autore, indicano con il loro nome.
LAURENTI SORRIDE malinconico all’idea che i fantasmi del passato, nella città che ha imparato ad amare in modo viscerale pur continuando ad osservarla con l’incredulità dello «straniero», si confondano talvolta con le ombre del presente, come se quasi tutto da queste parti, dalla Storia ai luoghi, passando per le persone e perfino i vini del Carso che tanto ama, fosse impastato di una materia che è tutt’uno con le proprie radici.
Un mondo che sembra voler stare a galla, sospeso idealmente tra la terra e il mare, solo fin quando sarà in grado di ricordare, di intrecciare il proprio sguardo a ciò che è stato, a quanto è avvenuto un tempo ma ancora oggi non conosce pace. L’esperienza stessa dell’investigatore si insinua nelle trasformazioni conosciute dallo spazio urbano, là dove, strada per strada la topografia di Trieste è direttamente collegata «alla natura complessa dei casi che si trova ad affrontare».
Sul fondo, resta sempre Trieste la protagonista di queste indagini che sembrano volerne scrutare nel profondo l’anima. Perché, come fa osservare lo stesso Laurenti al medico legale Mara Poggi, arrivata da meno di un anno da Milano, accanto ad un monumento ai partigiani dove è stata rinvenuta una delle vittime: «Forse si è trasferita da troppo poco tempo per saperlo, ma la faccenda non è affatto chiusa, dottoressa. Il luogo in cui è stato commesso il crimine è fortemente simbolico. Qui sono tutti contro tutti, e anche se ultimamente sembrava che la situazione si fosse calmata, la pace è solo apparente. Il passato ritorna sempre».