Campagna al veleno
Sono tanti i temi sui quali i partiti, nell’interesse dei cittadini che dovranno votarli, potrebbero scegliere di confrontarsi in vista delle prossime consultazioni politiche: il governo dell’immigrazione, la lotta alla disoccupazione e alla povertà, le pensioni, la salvaguardia ambientale, le azioni a sostegno della famiglia, il rilancio degli investimenti produttivi, la ri duzione delle tasse, la digitalizzazione della pubblica amministrazione, il declino demografico, il sostegno agli anziani, l’europeismo e la collocazione internazionale dell’Italia, il federalismo, le spese per l’istruzione e l’università, i controlli sulle banche e sulle attività finanziarie, la valorizzazione del turismo e dei beni culturali, il dissesto idrogeologico del territorio, il contrasto alla criminalità organizzata e alla corruzione, la riforma della giustizia, gli incentivi al lavoro giovanile, il sostegno alla ricerca e all’innovazione tecnologica, la rigenerazione delle periferie e la ricerca di un nuovo modello di sviluppo urbano, ecc. L’imminente competizione elettorale rischia invece di giocarsi sul ritorno del nazi-fascismo e delle camicie nero-brune. Il passato remoto del nostro Paese, rievocato ad arte in mancanza di altre idee e nell’incertezza sul futuro che ci aspetta, ridiventa tema di battaglia politica nel presente. Continua a pag. 24 segue dalla prima pagina La necessità è quella di passare da una politica di non proliferazione nucleare a una di contenimento. La prima viene adottata contro i Paesi che ambiscono a sviluppare la bomba atomica. La seconda viene impiegata contro i Paesi che la posseggono. Abbracciare una politica di contenimento significa riconoscere che è nata una nuova potenza nucleare e questo impone un cambiamento nelle relazioni internazionali. Molti credono che scoppierà la guerra, ma ragioniamo. Qualsiasi guerra con la Corea del Nord sarebbe una guerra nucleare. La Corea del Nord è uno Stato poverissimo e non avrebbe le risorse per condurre una guerra convenzionale con soldati, aerei e carrarmati. La sua unica possibilità di sopravvivere, in caso di attacco americano, sarebbe il lancio immediato della bomba atomica al fine di ottenere un immediato cessate il fuoco per scatenare la mediazione diplomatica del Papa che dovrebbe impedire la trasformazione del mondo in un cumulo di macerie radioattive. O Kim Jong-un stronca sul nascere un’eventuale invasione americana oppure è spacciato. Il che significa che ha il grilletto facile nel senso che la struttura delle relazioni internazionali, e non la sua personalità, lo obbliga a un gesto estremo e immediato in caso di invasione. Dal canto loro, gli Stati Uniti non hanno alcun interesse a condurre una guerra nucleare per conquistare la Corea del Nord. La ragione è semplice: anche se Kim Jong-un rimanesse al potere, continuerebbero a essere il Paese più potente del mondo. Senza considerare che la responsabilità morale di un’eventuale ecatombe sarebbe tutta di Trump giacché Kim Jong-Un si sta sgolando da mesi per dire che vuole la pace e che la sua bomba atomica ha una finalità puramente difensiva. Se Trump scatenasse la guerra atomica, sarebbe abbandonato dall’Europa. Ed è il minimo perché una guerra atomica prolungata cambierebbe il volto del mondo e gli Stati Uniti correrebbero il rischio di finire come l’Europa dopo la seconda guerra mondiale: autodistrutti. Ne consegue che Trump, nonostante le minacce di guerra, deve trattare e non può farlo senza la mediazione di Putin, ma questo richiede di ridefinire l’immagine pubblica del presidente russo per avere un’idea chiara di ciò che chiede in cambio. La risposta più semplice è che Putin vuole il ritiro delle sanzioni e il riconoscimento del dominio sull’Ucraina dell’est. La risposta più complessa si chiama fine dell’unipolarismo. Per comprendere il significato di questa affermazione, occorre porre a confronto la guerra in Iraq con la guerra in Siria. Nel primo caso, la Russia aveva un interesse a difendere Saddam Hussein, ma non ebbe la forza di farlo. L’Onu si oppose ma, siccome il mondo era caratterizzato dall’unipolarismo, Bush salutò cordialmente il Consiglio di sicurezza, schiantò il regime di Saddam Hussein e sottrasse un pezzo di Medio Oriente all’influenza russa. Gli Stati Uniti hanno provato a ripetere l’operazione in Siria. Una volta scoppiata la guerra civile, Obama si è messo alla testa di una coalizione di Stati composta da Turchia, Francia, Arabia Saudita e Qatar che ha alimentato la guerra civile dall’esterno per determinare la caduta di Bassar al Assad e sottrarre un altro pezzo di Medio Oriente a Putin che, il 30 settembre 2015, ha inviato l’esercito in Siria con il seguente messaggio per gli Stati Uniti: “Ora basta”. La Siria era sua e se l’è ripresa, quasi del tutto, a suon di cannonate. Putin ha umiliato, in ordine sparso e a più riprese, Obama, Trump, Hollande, Macron, Erdogan, il re saudita, l’emiro del Qatar e Israele che, nonostante abbia bombardato Assad, adesso si ritrova con i soldati iraniani a due passi dal confine a nord e Hamas che spinge dietro. La foto dell’abbraccio tra Putin e Assad, a Sochi, è stata scattata per Trump. La politica internazionale è un fiume di parole sotto le quali scorrono i fatti. E i fatti dicono che la Russia è tornata. Anche se dotata di bomba atomica, la Corea del Nord non potrà condurre una politica estera espansiva perché è poverissima. Ha la bomba atomica, ma non rappresenta un vero pericolo per gli Stati Uniti, se Trump avrà testa. Il vero pericolo è Putin, che adesso assume un peso politico maggiore del presidente della Cina, il quale è stato delegittimato dalla conclusione del programma nucleare di Kim Jong-un. La comunità internazionale aveva affidato a Xi Jinping il compito di fermarlo e non c’è riuscito. aorsini@luiss.it
Il Messaggero – Alessandro Campi – 01/12/2017 pg. 1 ed. Nazionale.