TOMMASO CIRIACO
ROMA.
Appena nato, il Rosatellum “restaurato” già traballa. «E se in Parlamento questa nuova legge elettorale viene stravolta – domanda ai suoi Matteo Renzi – e noi non riusciamo più a fermarla, poi cosa facciamo?». Scetticismo, paura che la situazione sfugga di mano. Anche Silvio Berlusconi nutre dubbi, nel senso che considera il sistema proposto dal segretario dem talmente vantaggioso da non poter essere vero: «Matteo – vaticina – farà saltare l’accordo». E così il nuovo patto è già a rischio.
Valessero solo le dichiarazioni ufficiali, l’intesa viaggerebbe a gonfie vele. Il promotore, per dire, predica ottimismo: «Stavolta ce la facciamo », assicura riservatamente Ettore Rosato agli interlocutori parlamentari. C’è già una potenziale tabella di marcia, che prevede l’approdo nell’Aula della Camera il prossimo 4 ottobre. Pochi giorni per licenziarla e poi via al Senato, con una fiducia tecnica per ghigliottinare gli emendamenti. E però, nonostante le buone intenzioni, dietro le quinte i tasselli faticano a restare al loro posto.
Il cuore del problema è a sinistra. Mdp ha già chiuso la porta al Rosatellum restaurato, «è un imbrogliellum – si infuria Roberto Speranza con coalizioni farlocche». E anche i renziani nutrono parecchi dubbi. Se è vero che la logica coalizionale ricompatta il centrodestra, difficilmente può tenere assieme nei collegi arcinemici del calibro di Renzi e D’Alema, nonostante l’impegno pacificatore di Giuliano Pisapia. Il risultato sarebbe uno scontro fratricida devastante. Non a caso, nel Pd già si ragiona di un’altra svolta.
Si tratta di un meccanismo che assomiglia al voto disgiunto, un aggiustamento tecnico alla legge che garantisca una sorta di desistenza per evitare alle forze di centrosinistra di danneggiarsi a vicenda, pur senza allearsi ufficialmente. Ma toccare il testo, anche solo in un dettaglio, rischia di far sfilare Berlusconi e distruggere un puzzle già fragile.
A Palazzo Madama i numeri sono quelli che sono. E in molti considerano infernale quella tappa, soprattutto se successiva al voto siciliano. Un successo del centrodestra, ad esempio, potrebbe spingere Berlusconi e Salvini a tentare la strada del premio di coalizione, o convincere il corpaccione meridionale del Pd a tentare il blitz sulle preferenze. Altri, come Andrea Orlando, già auspicano correttivi sulla quota uninominale: «Nel corso del cammino parlamentare mi piacerebbe rafforzarla». Incidenti di percorso o trappole dietro l’angolo, comunque scogli che Renzi non smette di temere. «Attenti, ragazzi, che può sfuggirci di mano».
Questa è l’aria che tira, al di là delle dichiarazioni pubbliche. «Si voterà con il Consultellum», profetizza Giorgia Meloni. E neanche Matteo Salvini sembra ottimista: «Voterò il Rosatellum, ma tutto dipende da come si alzano domani Renzi, Orlando, Franceschini e Gentiloni… ». L’unica a garantire fedeltà al patto – senza riserve – resta FI.
Di certo, il segretario dem ha smosso le acque. E l’ha fatto non soltanto per portare a casa la riforma, ma anche per “coprirsi” con il Quirinale. Nelle scorse settimane il Colle aveva cercato di scuotere un Parlamento immobile lasciando filtrare che le Camere non sarebbero comunque state sciolte senza un ulteriore tentativo di andare oltre il Consultellum, fosse anche nel gennaio 2018. E che di fronte a un nuovo fallimento, sarebbe comunque necessario un decreto – da approvare in questo scorcio di legislatura per correggere le storture formali dei due sistemi in vigore. In uno scenario del genere non si tornerebbe alle urne prima di aprile, insomma. Un motivo in più per giustificare il via libera di Renzi all’operazione Rosatellum 2.0. Per poter dire, anche di fronte a un fallimento, «ci abbiamo provato». E per poter accelerare sulla strada del decreto.