Di Antonello Cherchi
Dal prossimo primo gennaio il ministero dei Beni culturali cambierà volto: ci saranno 18 musei che acquisteranno una speciale autonomia, spariranno le direzioni regionali, sarà ridisegnata la mappa delle direzioni centrali, nasceranno i poli museali regionali.
È la riforma targata Franceschini che però ha preso forma ancora prima che l’attuale responsabile della cultura arrivasse a via del Collegio Romano. Si tratta, infatti, di un intervento voluto dalle norme sulla spending review del 2012 (in particolare, l’articolo 2 della decreto legge 95), che hanno imposto a tutti i dicasteri di tagliare del 20% gli uffici dirigenziali generali e del 10% la spesa per quelli non dirigenziali.
La riduzione dei costi è stata l’occasione per ripensare nel profondo la struttura dei Beni culturali, tanto che già sotto la gestione Bray (il predecessore di Franceschini) era stata istituita una commissione, presieduta da Marco D’Alberti, che aveva prodotto un documento. La palla è poi passata a Dario Franceschini e sotto di lui ha preso forma il Dpcm che contiene il nuovo volto del ministero. Una riforma contrastata, sia perché ha dovuto subire uno stop and go – un primo provvedimento, più scarno dell’attuale, era stato confezionato a fine febbraio, salvo poi ritirarlo a giugno per adeguarlo alle novità introdotte con il decreto legge cultura, tra cui quella sull’autonomia dei musei –, sia perché lungo il suo cammino è stata bersagliata di critiche, a cominciare da quelle sul ripensamento delle direzioni generali.
Nonostante le traversie, la riforma è ora giunta in porto. La Corte dei conti ha dato nei giorni scorsi il via libera e si attende la pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale», che, come ha spiegato Franceschini, dovrebbe arrivare in questi giorni. Il ministro ha anche sottolineato che la riorganizzazione diventerà operativa dal primo gennaio, seppure in modo graduale. Per esempio, i bandi per il reclutamento dei direttori dei musei autonomi richiederanno più tempo.
La speciale autonomia riconosciuta a 18 istituti è la novità che dà il tono all’intera riforma. La misura prende le mosse dalla convinzione che i luoghi d’arte debbano investire di più su sé stessi, facendo di tutto per valorizzare al meglio le proprie potenzialità anche “commerciali”. Ecco perché, in particolare, i responsabili dei sette musei ai quali è stata riconosciuta la qualifica di direttori generali potranno essere reclutati con contratti da tre a cinque anni anche tra figure esterne all’amministrazione, con bandi a cui potranno partecipare esperti internazionali. Dovranno dimostrare di possedere non solo «una particolare e comprovata qualificazione professionale in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali», ma anche il possesso «di una documentata esperienza di elevato livello nella gestione di istituti e luoghi della cultura». Grazie all’autonomia dovranno, infatti, stabilire l’importo dei biglietti e gli orari di apertura, occuparsi della comunicazione, organizzare le mostre. In una parola, valorizzare il museo «facendone un luogo vitale, inclusivo, capace di promuovere lo sviluppo della cultura».
La particolare attenzione dedicata ai musei trova riscontro a livello centrale nella creazione di una direzione generale ad hoc, nella quale convergono le funzioni di valorizzazione, competenze finora riservate a uno specifico direttore generale. Non si tratta, però, dell’unica novità relativa alla riorganizzazione degli uffici romani: in particolare, nasce la direzione “educazione e ricerca”, le belle arti e il paesaggio si scindono da architettura e arte contemporanea e danno vita a due distinte direzioni generali, con un allargamento, per quanto riguarda il contemporaneo, alle periferie urbane.
Aumentano, dunque, i direttori generali di settore, crescita compensata, però, dal fatto che tutti gli attuali direttori regionali (che sono direttori generali) perdono la qualifica. La riforma, infatti, cancella le direzioni regionali, trasformandole in segretariati regionali (uffici di livello diregenziale non generale), con il compito di coordinare l’attività degli uffici del ministero dei Beni culturali presenti in ciascuna regione.
Infine, nascono i poli museali regionali (anch’essi uffici dirigenziali non generali), che dipendono dalla direzione generale musei. Al direttore del polo museale è affidato il compito di coordinare l’attività degli altri luoghi d’arte in funzione della loro fruizione e valorizzazione. Per far questo, il direttore del polo deve, almeno ogni mese, riunire, anche in via telematica, i direttori dei singoli musei, compresi i responsabili dei siti dotati di autonomia, per concordare strategie e obiettivi comuni.