francesco spini
Nel giorno in cui i Benetton dicono addio al patto leggero di Mediobanca per tenersi le mani libere sulla partita delle Generali, la Delfin di Leonardo Del Vecchio batte il suo primo colpo in Piazzetta Cuccia, da che ne è diventata prima azionista col 19%. Nessun ribaltone in vista, non per ora. La cassaforte di mister Luxottica, specifica in una nota, «non prevede né intende revocare l’attuale cda prima del termine del suo mandato», che scade tra due anni. Del Vecchio ragiona piuttosto sul lungo termine, pensa al futuro e invita Piazzetta Cuccia a correggere alcune regole di governo per renderle «coerenti» con le migliori pratiche di mercato, affinché pongano al centro «la creazione di valore per tutti gli azionisti». E soprattutto lascino «al cda e agli azionisti – come accade in qualsiasi società – il diritto di decidere in ultima istanza chi debba gestire la banca». Così, in vista dell’assemblea del 28 ottobre, Del Vecchio chiede al cda di integrare l’ordine del giorno, proponendo modifiche allo statuto di Mediobanca per eliminare il vincolo dei tre manager in cda e per aumentare i posti in consiglio per le minoranze.
Del Vecchio sfida Mediobanca sul terreno della governance. Se l’istituto guidato da Alberto Nagel, primo socio delle Generali, a Trieste appoggia – giudicandola la miglior soluzione di mercato – la contestata «lista del cda», che ha ricevuto due giorni fa il via libera del consiglio a maggioranza (col no anche del rappresentante di Delfin), mister Luxottica richiama il banchiere a correzioni in casa propria.
Gli echi della battaglia di Trieste si sentono anche nella mossa di Edizione. La finanziaria dei Benetton, che delle Generali ha il 3,97%, ora scioglie i legami col patto di consultazione di Mediobanca (che si riunisce domani), dove aveva aderito col 2,1%. Il patto, già leggero, ora è una piuma: dal 10,73% passa all’8,63%. Le indiscrezioni danno i Benetton pronti ad appoggiare Caltagirone, Del Vecchio e Crt nella sfida delle Generali. Nella nota la famiglia pratica invece equilibrismo e spiega che la disdetta «ha l’obiettivo di mantenere l’assoluta neutralità» in «relazione alle partecipazioni finanziarie detenute, con la volontà di non schierarsi nelle attuali vicende che occupano Mediobanca, pur esprimendo pieno apprezzamento per l’attività svolta dal suo management». Sempre sul fronte Mediobanca – partita a cui Caltagirone appare disinteressato – è Leonardo Del Vecchio a farsi sentire. Dall’imprenditore arriva una doppia proposta di modifica allo statuto che «non ha lo scopo di sostituire gli attuali amministratori o manager della banca – specifica – quanto piuttosto quello di assicurare che d’ora in avanti questi operino all’interno di un quadro di regole di corporate governance coerente con le best practice di mercato». Due le correzioni proposte: per prima cosa si tratta di cancellare il requisito che fu posto a tutela dell’indipendenza del management ai tempi della fusione Unicredit-Capitalia, ovvero che tre consiglieri debbano essere scelti tra dirigenti del gruppo da almeno tre anni.
Una norma che Del Vecchio contesta da tempo, catalogata tra quelle «che non hanno termini di paragone in alcuna altra banca o società quotata in Italia». Essa rende «impossibile» per il cda uscente presentare una lista senza l’ok dei manager. E rende altrettanto «impossibile» una lista alternativa degli azionisti per la difficoltà di convincere dirigenti a sfidare l’ad e gli amministratori. Tale richiesta di Delfin registrerebbe aperture in Mediobanca. Verifiche sull’apprezzamento del mercato serviranno per appoggiare l’altra proposta di Del Vecchio. Ossia aumentare i posti riservati alle minoranze: da due (oggi destinati ai fondi) a tre/quattro, a seconda che le liste siano due o più di due. Al momento, per Delfin, «la rappresentanza a livello consiliare degli azionisti di minoranza di Mediobanca si colloca al di sotto della media di mercato, sia comparandola con l’indice generale di Borsa,sia con le principali banche italiane».