1. Tamponi. La Regione Lombardia è ancora drammaticamente indietro nel numero di tamponi eseguiti. A livello nazionale è al 12° posto, con 64 test per 100 mila abitanti. La media ormai consolidata è di 12 mila tamponi al giorno. Di questi, solo il 50% è diagnostico, cioé eseguito per la prima volta. Con numeri così esigui è difficile aver un quadro epidemiologico chiaro. Rispetto alle segnalazioni di casi sospetti che arrivano alle Ats dai medici di base, è ancora forte il ritardo nell’esecuzione dei test. L’esempio più clamoroso è quello di Brescia: a fronte di 624 casi sospetti Covid segnalati tra il 18 e il 21 maggio, è stata eseguito un solo tampone. In tutto, dall’inizio della Fase2, dal 4 maggio, è stato testato – secondo un report riservato della Regione – soltanto 1 caso sospetto su 3. Scarseggiano i reagenti (sempre a Brescia, lo screening su 3 mila lavoratori si è dovuto bloccare e i campioni di sangue sono finiti nel congelatore, in attesa di tempi migliori). Infine, tardiva è stata la scelta di effettuare test prima a medici e infermieri. Risultato: record di operatori sanitari contagiati.
2. Contact tracing. Lo scopo è individuare in modo rapido possibili nuovi focolai. Anche qui, bersaglio mancato. Secondo il consigliere regionale Pd Samuele Astuti, per ogni contagio le Ats seguono solo due contatti. In Veneto, invece, fino a 12. Il mancato tracciamento epidemiologico è stata una delle cause delle diffusione esponenziale registrata nella Fase 1.
3. Test Sierologici. Sono partiti in ritardo e la Regione ha puntato su un solo test (Diasorin), con una gara di assegnazione finita anche sul tavolo della procura di Milano. Al 21 maggio i test eseguiti erano 113.709: molto pochi. Il 19% è risultato positivo, cioè 22 mila persone che dovranno essere testate con i tamponi. Una settimana fa, la Regione assicurava che entro massimo 48 ore a queste persone sarebbe stato effettuato il tampone. A oggi, non è dato sapere se questo sia successo e per quanti. Vi è poi la questione dei test rapidi, sostenuti a gran voce dal virologo Massimo Galli, ma bocciati dalla Regione. In alcuni comuni – come Cisliano – i sindaci hanno eseguito autonomamente test rapidi, individuando alte percentuali di positivi agli anticorpi. A queste persone l’Ats non ha ancora eseguito il tampone, non considerando valido il test sierologico rapido.
4. Rete sanitaria territoriale. Ormai è una certezza: la pressoché totale assenza di medicina del territorio è stata una delle cause che ha portato gli ospedali al collasso. In Veneto – ha spiegato il prof. Giorgio Palù – “i medici di base hanno fatto da filtro, tenendo a casa i positivi asintomatici”. Risultato: “Da noi si è ospedalizzato il 20% dei casi, in Lombardia il 66%, un dato altissimo per questa patologia che richiede nel 16% dei casi cure e nel 6% una intensività di cure”. Era il monito lasciato dalla Sars: più ricoveri si fanno, più il contagio si estende. Anche SarCov2 è un virus a diffusione nosocomiale. In più, delle tante persone che sono rimaste in isolamento domiciliare volontario, molte non sono state proprio raggiunte dai medici di base. Le Unità speciali di continuità assistenziale (Usca), a oggi, in Lombardia sono circa 50: il piano generale ne prevede 200.
5. Medici di base. “Lasciati in prima fila e disarmati, senza mascherine”, dice Marinoni. “Ancora oggi le difficoltà, specie a livello di gestione territoriale, sono molte”, spiega Marinoni. “E se dovesse riprendere forza il virus, la risposta del sistema sarebbe sempre la stessa”. Perché la rete dei medici di base e dei distretti è ormai smantellata da anni: “Modello Formigoni”.
6. Rsa e trasferimenti. La “strage dei nonni”, le delibere scellerate con cui si è sondata la disponibilità dei centri anziani ad accogliere pazienti Covid e dimessi Covid “in fase di negativizzazione”, il ritardato stop alle visite dei parenti e ai centri diurni. Su tutti questi errori, stanno indagando diverse procure. Ancora oggi non è stato possibile avere dati precisi sui numeri dei morti effettivi per Covid nelle Rsa, su quanti siano stati i trasferimenti, se e quanti tamponi siano stati effettuati prima di certificare la negativizzazione del paziente, se siano state rispettate le prerogative di sicurezza (strutture separate e personale dedicato). “Sulle Rsa rifarei tutto”, ha detto Gallera. Salvo poi ammettere, che forse le strutture “non avevano capacità di affrontare questi temi”. “Hanno esportato il contagio. Hanno agito sull’onda emotiva. Tutti dentro. Invece dovevano tenerne fuori il più possibile” (copyright Giorgio Palù).
7. Comunicazione. Lombardia Notizie Online, e la conferenza stampa a cui ci aveva abituato Gallera, ha ispirato in questi mesi pure la satira, tanto che pareva surreale. Invece era tutto vero. Emblematica la comunicazione – volutamente confusa o solo pasticciata? – che la Regione ha tenuto, fino a fine aprile, sui dati dei dimessi e dei guariti. “Le voci erano gonfiate”, ha spiegato Paolo Spada dell’Humanitas. Non sappiamo, poi, chi siano i nuovi casi, quali fasce di popolazione siano state sottoposte a tampone e a test. La piattaforma di telemonitoraggio non è più accessibile.
8. Comitato tecnico- scientifico. È stato convocato, da quando si è insediato, tre volte. Due volte per l’altro comitato che si occupa del territorio, e che affianca l’Unità di crisi.
9. Ospedale in Fiera. Anche sull’Astronave – e sui 21 milioni di euro di donazioni private, oltreché sui conti di Fondazione Fiera – la procura ha aperto un fascicolo. La struttura da 221 posti letto di terapia intensiva ha ospitato finora 25 pazienti. Le annunciate “sale operatorie complete e funzionanti” altro non sono che ambulatori. E si rischia la chiusura: la struttura non rientra nelle linee guida dell’Oms per gli ospedali Covid.
10. Analizzare gli errori. Per evitare di ripetere gli sbagli, sarebbe il passo più importante. E necessario. Per attuare una risposta rapida verso un nemico invisibile e sconosciuto il 21 febbraio. Oggi, in teoria, non più.