PADOVA, PALAZZO ZABARELLA
di Vera Mantengoli
Per la critica dell’epoca erano solo dei perdenti. Se alcuni collezionisti controcorrente non avessero sfidato il gusto dell’antico, tanto di moda a metà Ottocento, dei Macchiaioli oggi rimarrebbero poche tracce. Tuttavia non furono certo quei giudizi feroci e sarcastici a scoraggiare il gruppo di giovani amici con base a Firenze che, nonostante avessero una formazione classica, non ne volevano più sapere dei soggetti tanto cari al Romanticismo e al Neoclassicismo tanto meno dello stile accademico. Perché raffigurare divinità o paesaggi idilliaci quando si poteva invece raccontare la nascita dell’Italia? Quella era la realtà di cui essere orgogliosi, ritrarre il Paese che si stava formando, fatto di persone vere e di paesaggi reali. La storia di questi artisti ribelli viene raccontata a Palazzo Zabarella fino al 18 aprile nella mostra I Macchiaioli . Capolavori dell’Italia che risorge , a cura di Giuliano Matteucci e Fernando Mazzocca e con il contributo di Silvio Balloni e Claudia Fulgheri. Dopo quindici anni, Palazzo Zabarella torna a indagare i Macchiaioli, ma questa volta mettendo in luce il contributo dei 34 collezionisti illuminati che osarono appendere nelle nobili dimore opere raffiguranti per esempio una lingua di terra con una striscia di mare azzurro sullo sfondo, soggetti inimmaginabili per il gusto del tempo. «Il movimento dei Macchiaioli viene trattato come una meteora, trascurando i tratti di umanità dei protagonisti — spiega Matteucci —. In realtà, soprattutto Telemaco Signorini, Giovanni Fattori e Silvestro Lega, continuano a operare per tutta la seconda metà del secolo con un lavoro che apre la strada all’arte moderna e, per certi versi, insieme o dopo l’Impressionismo, rappresentano la parte più interessante di quanto è stato prodotto in Europa in quegli anni».
Il centinaio di dipinti esposti nelle sei sezioni — Critici e letterati, Amici e mecenati, Primi collezionisti, Pittori amatori, I mercanti e La Collezione Angiolini — rimanda alle figure di quei custodi dei capolavori le cui vite spesso sembrano storie da romanzo, come quella dell’anticonformista Isabella Robinson Falconer. La nobildonna, in barba alle leggi e alla moralità vittoriana, si sposa con tale Walter Sholto Douglas, ma in realtà sotto i panni maschili si cela Mary Diana Dodds. A relazione finita, si unisce al reverendo Sir William Falconer e inizia a trascorrere molto tempo in Toscana nella Villa di Falconeria a Collegigliato, nel pistoiese, dove accoglie nel suo salotto artisti e letterati, incluso Signorini, l’unico figlio d’arte dei Macchiaioli. Robinson Falconer intuisce che la pittura di quel giovanotto fiorentino racconta qualcosa di nuovo e non esita ad acquistare i suoi dipinti. Sceglierà invece l’amico Giovanni Boldini, che poi se ne andrà a Parigi a ritrarre la Belle Époque, per affrescare un’ala della Villa che diventerà «la Cappella Sistina dei Macchiaioli».
Lo stesso movimento si struttura grazie alla figura di un collezionista e amico del gruppo, il colto Diego Martelli, figlio dell’ingegnere Claudio e di Ernesta Mocenni, parente di Quirina, la Donna Gentile di Ugo Foscolo. Martelli è ben inserito nei piani alti della società, ma frequenta con i suoi amici artisti il Caffè Michelangelo di Firenze dove i pittori, poco più che ventenni, cresciuti negli ideali del Risorgimento, sentono l’urgenza di una nuova pittura. È il 1861, l’anno dell’Unità d’Italia, un traguardo raggiunto dai patrioti raccontati nei dipinti di Signorini e Fattori e nella biografia di Giuseppe Abbati. L’artista partecipa alla Spedizione dei Mille, perde un occhio in battaglia e, dopo la missione, si unisce al gruppo che si nutre delle letture dell’anarchico Proudhon e della poesia civile di Walt Whitman. Il 1861 è anche l’anno in cui Martelli eredita una fattoria a Castiglioncello, dove invita gli amici pittori. «Immaginiamoci quei giovani pieni di ideali per un’Italia appena nata e liberata, trovarsi tutti insieme in una natura straordinaria e incontaminata, davanti al mare aperto e con la campagna alle spalle — prosegue il curatore —. È qui che nascono i capolavori della pittura Macchiaiola e la cosiddetta Scuola di Castiglioncello, incentrata sulla ricerca degli effetti della luce, che si distingue da quella Piagentina dei dipinti en plein air » . Martelli, ritratto da Federico Zandomeneghi, sarà la figura di riferimento del gruppo e stringerà un forte legame con il dirompente Giovanni Fattori. Prendono via via forma opere come La vita nei campi di Odoardo Borrani o La ragazza che dà da mangiare a un’anatra di Cristiano Banti e Dalla cantina di Diego Martelli di Abbati, «un gigante nella ricerca della luce». Incompresi sia nell’Esposizione Nazionale che a Brera, ancora una volta i Macchiaioli saranno valorizzati dai collezionisti, come la baronessa livornese Suzanne Bacheville, in arte Fiorella Favard de l’Anglade, che espone le loro opere nella sua villa di Rovezzano, e il giornalista Ugo Ojetti che contribuirà a recuperare per il Comune di Firenze le opere di Signorini, Fattori e Cabianca. La critica li considera perdenti, ma quei giovani sanno che è tempo di rompere gli schemi. Così, quando per disprezzo vengono chiamati macchiaioli per il tratto istintivo e non accademico, decidono che quello sarà il loro nome, incuranti dei giudizi miopi di chi non si accorgeva che il mondo stava cambiando.