Gino Marinuzzi.

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di Paolo Isotta

Fu tra i sommi del Novecento: ai teatri manca la sua musica

Il 24 aprile 1945 al Teatro Lirico (la Scala era stata distrutta dai bombardamenti) Gino Marinuzzi salì per l’ultima volta sul podio: diresse il Don Giovanni di Mozart. A Ferragosto si trovava a Bratto, ultimo borgo della Val Seriana; lo attinse una crisi epatica fulminante. Spirò il 17. Era nato a Palermo il 24 marzo 1882.
Sul podio montò per la prima volta a diciannove anni, al Massimo palermitano, nel Rigoletto , sostituendo un collega. Già due anni dopo nel medesimo teatro capeggiò la prima esecuzione assoluta della sua Barberina . L’esser stato il sommo direttore d’orchestra del Novecento, superiore persino a Fritz Reiner e Herbert von Karajan, fu per lui una disgrazia: per avergli sottratto tempo che avrebbe dedicato alla composizione: fu infatti un sommo compositore.
Marinuzzi direttore possedeva tutto il repertorio italiano e molta musica italiana al di fuori del repertorio. La prima esecuzione assoluta della Rondine e la prima italiana del Trittico , dopo la cattiva «prima» nuovayorchese, di Puccini, si debbono a lui. Il Macbeth , La battaglia di Legnano , il Simon Boccanegra , il Don Carlos (in cinque atti) di Verdi, vennero riportati in onore da lui; la Linda di Chamounix , la Lucrezia Borgia , la Maria di Rohan e il Poliuto di Donizetti; Il pirata e La straniera di Bellini; Il barbiere di Siviglia di Paisiello e Il matrimonio segreto di Cimarosa, diretti dal cembalo; l’ Orfeo e L’incoronazione di Poppea di Monteverdi. Quanto al repertorio francese dirò questo: nel centenario della morte di Berlioz (1968) Francesco Siciliani, allora a capo della musica alla Rai, riuscì a programmare nel giro di qualche anno l’esecuzione degli opera omnia del Maestro. Sul podio Georges Prêtre, Sergiu Celibidache, Colin Davis, Seiji Ozawa e altri. Gli domandai: «Che cosa, di tutto ciò che Lei ha realizzato, Le è piaciuto di più?». La risposta fu: «Credo L’enfance du Christ diretta da Ozawa. Se però penso all’ Enfance diretta da Marinuzzi nel 1936 Ozawa scompare».
Dei Russi eseguiva il Boris Godunov di Musorgskij e Sadko di Rimskij-Korsakov. Quanto al repertorio tedesco, Marinuzzi aveva diretto tutte le Opere di Wagner, sovente anche in Germania. Del Tristan und Isolde era considerato il massimo interprete vivente, e lo si vide per l’ultima volta al Maggio Musicale Fiorentino del 1941. Quando nel 1913 cadde la privativa trentennale voluta dall’autore per il Parsifal , da rappresentarsi solo a Bayreuth, Gino fu il primo italiano a dirigere la «Festa scenica sacra». Pare che nessuno interpretasse il Fidelio di Beethoven come lui; il suo saggio su quest’Opera è la cosa più alta che le sia mai stata dedicata. Il penultimo Mozart da lui diretto fu Così fan tutte alla Scala, che amava tanto da sottrarre l’allestimento al giovane Karajan, pur suo amico, al quale l’impresa l’aveva destinato. Di Strauss, oltre alla Salome e al Cavaliere della rosa , capeggiò le prime esecuzioni italiane de La donna senz’ombra e de La donna silenziosa provocando l’inconcussa ammirazione dell’autore. La «prima» italiana dei Carmina burana di Carl Orff avvenne sotto la sua bacchetta alla Scala il 10 ottobre 1942. Riproduco la lettera che il Maestro bavarese gli rivolse. «Gentilissimo, caro Maestro Marinuzzi, in poche parole vorrei ancora una volta ringraziarvi di tutto il cuore ed esprimervi la mia più alta ammirazione per la grandiosa esecuzione delle Carmina burana . È un raro caso di fortuna nella vita di un compositore di poter vedere una interpretazione, che rappresenta veramente il pieno adempimento delle sue intenzioni».
Il suo secondo allestimento della Frau ohne Schatten , La donna senz’ombra , avvenne alla Scala nel gennaio del 1940. L’esecuzione venne radiotrasmessa e un ascoltatore ne registrò parti su filo. Si possono riascoltare nell’ambito di due compact disc che la Banca Lombarda pubblicò nel 1994. Nessuna esecuzione straussiana può esservi paragonata. Le incisioni di questi due compact sono, a parte un’intera Forza del destino di Verdi dell’Eiar del 1941, la più importante di tutta la storia del disco, tutto ciò che dell’arte interpretativa di Marinuzzi ci resta; ed è terribile la sproporzione con altri grandi direttori. Se Gino fosse vissuto solo altri dieci anni la nostra storia dell’interpretazione musicale sarebbe affatto diversa. Sul concertatore aggiungo che coltivò la musica contemporanea: oltre ad aver egli interpretato Bloch, Honegger, Mossolov, Rabaud, Stravinskij, Casella, gli si debbono prime esecuzioni assolute di Alfano, Respighi, Pizzetti, Malipiero, Mulè e vari altri.
Meno ancora del direttore è conosciuto il compositore: un vero poeta doctus che aveva fatto studi classici e possedeva perfettamente il latino e il greco: grande, ripeto, anche come scrittore.
Il Marinuzzi maturo scrisse due Drammi musicali, alla prima esecuzione diretti da lui. Il primo è Jacquerie (Buenos Aires, Teatro Colon, 1918); il secondo Palla de’ Mozzi (Scala, 1932). Jacquerie è stata eseguita dopo la guerra una volta sola al Massimo Bellini di Catania nel maggio 1994; Palla de’ Mozzi , che in Germania ebbe vivissimo successo, fosse o non fosse l’Autore sul podio, mai. Jacquerie , incentrata sulla rivolta dei contadini francesi in Piccardia contro l’oppressione feudale nel 1358, terminantesi com’è con un inno rivoluzionario nell’eroico Mi bemolle maggiore, non poteva circolare sotto il regime fascista; la vicenda è quella di una giovane sposa che viene violentata dal signore feudale alla vigilia delle nozze. Palla de’ Mozzi si svolge invece subito dopo il 1526, anno della morte di Giovanni dei Medici, detto Giovanni delle Bande Nere . Il protagonista è Signorello, il ventenne figlio di un condottiero delle disciolte milizie, Palla de’ Mozzi. Egli viene condannato a morte dal padre per aver fatto fuggire un prigioniero e amatone la figlia dopo averla salvata dallo stupro (ancora uno stupro!) da parte degli ufficiali : il giovane lo ha fatto, consapevole della ventura condanna, per redimersi dal mestiere delle armi che esercita contro i suoi principi. Quando i soldati ne chiedono la grazia il crudele padre per l’umiliazione si uccide ma Signorello annuncia che il suo compito sarà di lottare per un’Italia una.
Il primo dei due Drammi musicali è breve e sintetico; il sistema tematico di natura wagneriana è trattato come di scorcio, presentandosi a chi ascolta il frutto di una complessa elaborazione senza che questa sia ostesa. Il linguaggio musicale, che spesso si spinge ai confini della tonalità e talora, con un magistrale processo simulatorio, sfiora la politonalità, è il massimo caso di modernità la musica italiana abbia prodotto nei primi cinquant’anni del Novecento; al suo fianco porrei la Prima Sinfonia e il Primo Quartetto di Alfano e Alcesti (1936) di Giovanni Salviucci (1907-1937). Il secondo è una sontuosa partitura che credo di esser stato finora il solo, dopo il 1945, a studiare e che mi pare una delle sommità del teatro musicale del Novecento. Il sistema tematico vi è un miracoloso proliferare sottoposto a una elaborazione armonica, ritmica (sia per le sovrapposizioni che per le giustapposizioni: vi sono passi in 15/4 e 17/8, tanto per fare un esempio) e contrappuntistica che supera lo stesso Richard Strauss e che ha per parallelo solo la Sakuntala di Franco Alfano.
Certi luoghi sono di realizzazione a mio avviso disperante. Nel primo atto vi sono, a un certo punto, oltre il coro delle monache e l’orchestra, due cori interni di soldati e la banda interna. I soldati espongono una facile melodia e un volgare ritmo a metà fra la marcia e la danza. Prima l’orchestra ha cantato il Magnificat e il coro infantile l’ Agnus Dei . La conclusione sinfonica dell’atto è una rievocazione tematica: «la musica alza le ali verso il cielo, si scopre il Cristo redentore e la tromba lontana canta l’ Agnus Dei mentre gli archi costruiscono intorno un’atmosfera di vibrazione mistica»: dice l’Autore dopo averla concertata l’ultima volta a Roma: «allora mi sono commosso e ho pensato che tutto forse non è perduto! Questo non me lo porta via nessuno!».
Come compositore sinfonico il Marinuzzi maturo ha lasciato una Suite siciliana del 1910, il Poema sinfonico Sicania del 1913 e la Sinfonia in La del 1943. La natura profondissimamente contrappuntistica della sua invenzione ne fa un caso raro nella stessa musica europea. Il Poema sinfonico è una vertiginosa elaborazione ritmico-contrappuntistica di alcune canzoni popolari della sua terra; la Sinfonia, tale da disgradare lo stesso Strauss (fino alle Metamorfosi per ventitré archi, che sono di due anni successive), si pone accanto alle due Sinfonie da camera e al Pelleas e Melisande di Schönberg, alla Terza di Enescu, alla Terza di Szymanowski, quale vertice dell’arte sinfonica novecentesca. Il primo tempo è una delle più profonde rievocazioni mai create della forma detta di Sonata; il secondo (Georgica) un ritratto della terribilità e della capacità consolatrice della Natura; il terzo (Ditirambo) , una apocalittica indagine sul principio del Dionisiaco, è la pagina di massima arditezza ritmica che in tutta la letteratura sinfonica si conosca; e un’impareggiabile denuncia dell’orrore della guerra.