Tomaso Montanari
Parlare di Firenze vuol dire parlare di spazio pubblico e democrazia: dell’involuzione che inghiotte entrambi, che li consuma e li umilia. Durante le feste di Natale, il Comune aveva fatto montare – dopo anni di tentativi – una enorme ruota panoramica in un piccolo parco ottocentesco, a pochi passi dalla rinascimentale Fortezza da Basso. Una roba da Luna Park strapaesano, salutata come la manna da una città consegnata mani e piedi al turismo, e dunque ora provatissima dalla sua crisi dovuta alla pandemia.
I permessi richiesti dal Comune alla Soprintendenza erano temporanei, la richiesta esplicitamente limitata alle festività: ciò nonostante, il sindaco Nardella ha chiesto di prorogarne la presenza, e ovviamente il soprintendente ha risposto di no. Apriti cielo. Il presidente di Confartigianato, per esempio, ha dichiarato: “Lo stop alla ruota va ad allungare la lista delle partite su cui la città rischia di rimanere paralizzata. Penso alla vicenda dello stadio, alle pensiline della tramvia, ai parcheggi interrati in centro, alla riconversione di tanti luoghi. È l’ennesimo simbolo di una città che ha paura della modernità, non certo per demeriti dell’amministrazione, che ci ha provato fino all’ultimo. Occorre superare la logica della città-museo, se questo significa chiudersi al presente. Firenze si merita di guardare avanti”.
È, questo, un perfetto selfie della classe dirigente della città: convinta davvero che la ruota panoramica sia un’alternativa alla città museo, quando invece ne è ovviamente l’estremo sintomo di decomposizione. La confusione tra la modernità e la vita di rendita, tra il consumo speculativo del territorio e l’imprenditoria aperta al futuro, tra la spettacolarizzazione del passato e la produzione di futuro, è una confusione culturale e politica, ed è quella che legittima questa amministrazione mediocrissima, incapace di una idea che sia una.
Non per caso, il Pd vota in questi giorni una mozione che impegna la giunta ad “attivarsi per individuare un’area nella città di Firenze dove possa essere collocata la ruota panoramica, anche in modo permanente e comunque per un periodo idoneo a soddisfare la domanda dei cittadini e dei visitatori”. Perché non in Piazza del Duomo? Sarebbe perfetta, all’ombra della Cupola: permetterebbe almeno di confrontare la qualità del Rinascimento con quella dei suoi sfruttatori.
Dal canto suo, Nardella rispolvera i toni e i contenuti di Renzi sindaco, attaccando la soprintendenza in quanto non legittimata dal consenso popolare: “Le città chi le deve governare, i sindaci eletti dai cittadini o altre persone che non rispondono ai cittadini e rispondono a se stessi?”. E qua si spalanca l’abisso di una visione padronale del governo del territorio: in un momento in cui le voci più alte e illuminate (da papa Francesco a Greta) ci dicono che non siamo padroni, ma custodi, e che dobbiamo garantire gli interessi di chi non vota (le prossime generazioni, non ancora nate), Nardella invoca il diritto di modificare il volto storico della città (permanentemente, chiede il suo partito) a colpi di governo della maggioranza. Una visione miope, che scardina il lungimirante articolo 9 della Costituzione, che consegna alla Repubblica (e non solo alla politica, alle maggioranze) il compito della tutela, accogliendo e proiettando nel futuro il sistema delle soprintendenze, sorta di magistratura del territorio.
Del resto, come governa Nardella lo spazio pubblico quando non ha il “freno” provvidenziale della Soprintendenza? Prendiamo il caso clamoroso dell’“Andrea del Sarto”, la Società di Mutuo Soccorso, che occupa (attraverso alterne vicende e mutamenti vari) l’immobile in cui è nata nel 1897, e che nel 2016 è stato ceduto dallo Stato al Comune. Ebbene, incalzata dagli esposti di Fratelli d’Italia (che ancora non digerisce la permanenza di questa realtà, che affonda le radici nel movimento operaio, in un edificio che poi divenne Casa del Fascio…) alla Corte dei Conti, l’amministrazione Nardella ha deciso che la soluzione alla situazione di morosità dell’associazione sia lo sfratto esecutivo, da far eseguire alla forza pubblica il prossimo primo febbraio.
A finire sfrattata sarà anche la redazione della gloriosa rivista Il Ponte, fondata da Piero Calamandrei nell’aprile del 1945, che in quei locali ha sede e biblioteca. La redazione commenta con amara sobrietà che “è veramente curioso l’atteggiamento di un’amministrazione comunale che si è molto preoccupata per la permanenza in città della ruota panoramica e non si preoccupa minimamente di sbattere per strada pezzi della storia fiorentina”. E quale storia: il cuore pulsante della Firenze resistenziale, liberal-socialista, azionista.
Nel 1924 furono i fascisti a gettare per la via i libri e le carte del Circolo di Cultura dei Rosselli e di Calamandrei: un secolo dopo sarà la pallida giunta “democratica” di Nardella a fare altrettanto con gli eredi di quella storia?