Faccia a faccia con i surrealisti Duchamp?

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Per festeggiare i suoi 90 anni, Arturo Schwarz ha pubblicato da Skira Il Surrealismo ieri e oggi (e 59). Sottotitolo: «Storia, filosofia, politica». Dieci anni di lavoro, è detto. E c’è da credergli. Le 546 pagine di testo sono composte da tre libri: il primo (pp. 150) di pugno di Schwarz; il secondo (pp. 396), antologia dei vari gruppi surrealisti nel mondo (Europa, America del Nord, America Latina e Caraibi, Asia, Africa e Paesi arabi); il terzo (pp. 856, ma su cd) elenca i principali periodici surrealisti dal 1919 al 2000 e le mostre, vivente Breton (1924-1965) e dopo (1966-2010). Date che confermano l’immortalità del Surrealismo, perché, come diceva Apollinaire, esso «è uno stato d’animo». Un esempio? La nascita nel 1970 dell’ultimo gruppo surrealista («arabo in esilio»), costituito da siriani, iracheni, libanesi e algerini. Sede? Parigi, naturalmente.
Parliamo del Surrealismo? Intervistiamo Schwarz. Anche se da Milano è volato, con Linda, a Santa Margherita Ligure, non ha scampo.
Il manifesto del Surrealismo bretoniano esce nel 1924. Lei è nato lo stesso anno. Chi era Breton?
«Mio padre adottivo».
I primi contatti?
«Nel 1943. Lui era negli Usa; io ad Alessandria dove sono nato da padre tedesco e madre italiana. Nel 1935 avevo pubblicato delle “poesie automatiche” e gliele mandai con una lettera. Cominciò un rapporto epistolare».
Quando l’ha incontrato?
«Nel 1951, a Parigi, a Montmartre, due anni dopo essere venuto in Italia. Prima, non potevo viaggiare: sul passaporto italiano le autorità egiziane avevano stampigliato: “sovversivo, pericoloso, ha attentato alla sicurezza dello Stato”» .
Breton-uomo?
«Straordinaria sensibilità. Chi parla di lui come un dittatore è un imbecille o non lo conosceva affatto».
Amava molto le donne?
«Solo tre: Simone, Jacqueline ed Elisa».
Dove lo incontrava?
«Nei caffè, col gruppo surrealista».
Quanti eravate?
«Dodici-quindici, mai più di venti».
Legami?
«Fortissimi, anche con chi veniva per la prima volta».
Futurismo e Surrealismo: due movimenti rivoluzionari…
«Ma con posizioni diametralmente opposte».
Mi riferivo all’incidenza che hanno avuto nel mondo…
«In Italia, per un verso o per l’altro, i futuristi costeggiavano il fascismo; in Russia, invece (vedi Majakovskij), erano marxisti».
In Italia, il Surrealismo non ha attecchito…
«Impossibile col fascismo. Come le rondini che andavano in Africa, il Surrealismo ha sorvolato il nostro Paese senza fermarsi. Bisognerà attendere decenni, prima che ce ne sia qualcuno».
Per esempio?
« Sergio Dangelo e Renzo Margonari».
A quanti anni ha cominciato a fare l’editore?
«A 24, In Egitto».
E il gallerista?
«Poco tempo dopo, con gli artisti del gruppo».
Litigi?
«Rari».
Fra chi?
«Fra Max Ernst e Breton, per esempio» .
Definizioni lapidarie. René Char?
«Discreto, “segreto”, ermetico nei versi e nella persona».
Péret?
«Grande poeta. Di assoluta “moralità” politica».
Soupault?
« Nessuna stima. Era falso» .
Tzara?
«S’è venduto allo stalinismo» .
Éluard?
«Eccezionale poeta, ma la lebbra staliniana lo ha trasformato in un morto vivente».
Siqueiros?
«Ricordo di avergli dato un poderoso calcio in culo perché proteggeva l’assassino di Trotskij».
Duchamp?
«Quando giocava a scacchi, il mondo non esisteva più».
A proposito di Duchamp, una leggenda racconta che lei ha fatto più copie dell’orinatoio, che la Cesame…
«Beh, come ha detto lei, è una leggenda. Su un certo numero di copie, otto sono numerate e firmate; altre due ad personam (a me e a se stesso); due per le mostre itineranti (che poi ho donato alla Gam di Roma e al Museo di Gerusalemme) e due di scorta, fuori commercio, in seguito regalate a Gino Di Maggio (per la grande mostra alla Mudima di Milano) e a Jacqueline Monier Matisse, figlia della prima moglie di Duchamp. Quattordici, in tutto».
Si dice che ne erano state fatte una cinquantina, ma che le restanti non sono mai state distrutte…
«Leggenda metropolitana».
Parliamo delle sue donazioni di opere surrealiste a Gerusalemme, Tel Aviv, Roma. Come mai non ha pensato anche a Milano, dove lei a Palazzo Reale ha fatto la grande mostra sul movimento di Breton?
«Mi è stato impedito».
Da chi?
«Dal sindaco di allora».
Si era opposto?
«No».
E allora?
«Aveva chiesto una “mancia”».
Opere?
«Denaro».
Chi era il sindaco?
«Non posso dirlo».
In quale anno?
«Stessa domanda, posta in maniera diversa. E stessa risposta».
sgrasso@corriere.it