La figura del consigliere di chi detiene il potere ha sempre suscitato emozioni ambivalenti. L’immaginario collettivo la divide in due grandi profili: da una parte il consigliere saggio e intelligente, che con il suo acume spinge il capo verso la decisione più giusta; dall’altra l’infido sobillatore, che ammalia il suo superiore per ottenere un tornaconto personale. In realtà le cose non sono così facilmente discernibili. L’arte di saper consigliare è composta da una miriade di sfaccettature e sottigliezze psicologiche che andrebbero studiate a fondo. Il consigliere deve saper convivere con la forte personalità del suo capo, ne deve conoscere le debolezze ‒ per controllarle ‒ ed esaltare le sue forze ‒ per indirizzarle ‒; deve saperne assecondare l’ambizione, senza trasformarla in inutile vanagloria, ma allo stesso tempo frenarne la volontà irruente, per metterlo in guardia dai pericoli di una mossa avventata. Il buon consigliere è colui che si muove nell’ombra, non dietro, ma due passi avanti: organizza gli incontri, studia gli avversari, intuisce gli scenari prima degli altri e prepara così abilmente le pedine della scacchiera, che il capo in poche mosse riesce a fare scacco matto. Ettore Bernabei nella sua lunga carriera di consigliere personale di Amintore Fanfani, nonché di ambasciatore occulto della Democrazia Cristiana presso gli USA, l’URSS e il Vaticano, ha preparato non poche scacchiere e altrettante mosse vincenti.
Nel libro “Ettore Bernabei il primato della politica. La storia segreta della DC nei diari di un protagonista” edito da Marsilio, l’autore Piero Meucci traccia una storia della prima repubblica a partire da un punto di vista privilegiato: i diari personali di Ettore Bernabei che per trent’anni hanno contenuto pensieri, commenti e aneddoti sulle vicende politiche italiane. Il libro può essere considerato un interessante esperimento a metà strada tra manuale storico e biografia politica. Nel corso delle pagine l’autore racconta le fasi più delicate della politica italiana, dagli anni ‘50 fino a metà degli ‘80, intervallando la narrazione storica con stralci e pagine dei diari del protagonista e creando un ritmo piacevole, che oscilla tra il susseguirsi obiettivo dei fatti e la personale lettura politica di Bernabei. Alla fine del libro il lettore rimane scombussolato dall’immane mole di “dietro le quinte” che non è presente nella storiografia ufficiale della seconda metà del ‘900, ma allo stesso tempo prova un senso di vicinanza con il mondo della politica. Bernabei racconta gli aspetti più umani dei protagonisti di quegli anni, convive con le invidie, i rancori, le paure e le esaltazioni dei potenti, rendendoli più simili a noi. La pubblicazione integrale dei diari avverrà probabilmente nei prossimi anni sotto la supervisione del comitato scientifico costituito dalla Fondazione Giorgio La Pira, e coordinato dal professor Agostino Giovagnoli. Per il momento possiamo assaggiare la straordinaria testimonianza di una delle figure cardine e meno conosciute della recente storia repubblicana attraverso le pagine del libro ben riuscito di Meucci.
Ettore Bernabei nasce a Firenze nel 1921, fervente cattolico diventa uno dei protagonisti della resistenza nel capoluogo Toscano. Nel 1951 prende la direzione del Giornale del Mattino dove, come giornalista, inizia a conoscere i gangli del potere politico. Nel 1956 il nuovo segretario della Democrazia Cristiana, Amintore Fanfani, lo chiama per dirigere il giornale “Il Popolo”, l’organo ufficiale del partito. Bernabei, di matrice La Piriana, entra subito nelle grazie del segretario con cui instaura un rapporto di fiducia quasi fraterno. Nonostante l’amicizia e la fedeltà politica i due continueranno a darsi del lei per il resto della loro vita, anche nei momenti di sconforto più duri o durante gli attimi di entusiasmo più forti. “Il Popolo” è il giornale ufficiale della Democrazia Cristiana, lo strumento con cui il partito detta la linea politica da seguire e lancia i messaggi agli avversari. Il ruolo di direttore è uno dei più ambiti e la fiducia con il segretario è indispensabile per tenere saldo il rapporto con la base elettorale. Proprio per questo quando nel 1959 Fanfani perde la segreteria DC in favore di Aldo Moro, la posizione di Bernabei vacilla per qualche settimana. Il rapporto a tre tra Fanfani, Bernabei e Moro è uno dei leitmotiv che ricorre in tutti i capitoli del libro. I due “cavalli di razza” della DC hanno condizionato le sorti della repubblica italiana per più di 25 anni avvicendandosi nei ruoli chiave del potere in un ciclo quasi infinito: segretario della Dc, presidente del consiglio, ministeri vari. Fanfani, da buon aretino, è di carattere più sanguigno, mentre Moro è apparentemente più docile e attendista. Entrambi trovano in Bernabei il loro punto di incontro e non di rado la comunicazione tra i due leader passa unicamente attraverso il direttore del “Popolo”, che diventa un portavoce capace di mediare e conciliare i due purosangue del partito cattolico. Nel 1961 Bernabei passa alla RAI, allora l’unica emittente televisiva italiana, nel ruolo di direttore generale.
Se il “Popolo” aveva come cassa di risonanza l’intero elettorato democristiano, essere a capo della RAI significa intercettare la quasi totalità degli italiani. Governare la macchina televisiva significa prendere scelte editoriali che contribuiranno a costruire l’immaginario collettivo di intere generazioni, indirizzare politicamente masse di elettori e favorire relazioni politiche ben precise. In questa fase della carriera di Bernabei è particolarmente evocativa la vicenda dei funerali di Togliatti. Il punto della questione è la copertura mediatica dei funerali del segretario del PCI morto nel 1964 a Yalta. Bernabei deve trovare il modo di non scontentare “gli otto-dieci milioni di suoi ammiratori senza disturbare i diciotto-venti milioni di suoi avversari”. I comunisti vogliono una diretta televisiva, mentre i democristiani sono contrari. Si opta per una sintesi di un’ora, da mandare in onda dopo il telegiornale delle 23 durante una fascia oraria non di grande ascolto. In questo modo Bermanei riesce a soddisfare entrambe le parti e rendere omaggio a uno dei protagonisti della storia politica del ‘900. Nel 1974 la sua esperienza alla RAI finisce, la DC non possiede più la stessa forza politica del decennio precedente e deve concedere qualche ruolo di potere anche agli altri partiti politici. Bernabei si trasferisce alla direzione di ITALSTAT una finanziaria a partecipazione statale specializzata nella progettazione e costruzione di grandi infrastrutture ed opere di ingegneria civile.
Nel corso delle pagine del libro gli eventi più interessanti e degni di nota sono gli incontri politici, le strategie di potere e il ruolo all’interno delle vicende internazionali di cui Bernabei per più di trent’anni si rende protagonista. Come abbiamo detto, dagli inizi degli anni ‘60 Bernabei è considerato l’uomo ombra di Fanfani e il “ministro degli esteri segreto” della Democrazia Cristiana. È lui il responsabile dei rapporti con la Santa Sede ‒ la sua amicizia con il cardinale Angelo Dell’Acqua e il cardinale Giovanni Benelli segnano la relazione tra Vaticano e Repubblica italiana ‒ con le varie amministrazioni USA e, soprattutto, con l’ambasciatore sovietico a Roma. Quando bisogna trattare un dossier delicato Fanfani e Moro si rivolgono a lui e alla sua vasta rete di conoscenze, che spazia dagli ambienti diplomatici a quelli industriali. Il salotto di casa di Bernabei è stato il luogo in cui alcuni dei più spinosi accordi politici sono stati stipulati. Ad esempio, in preparazione del Concilio Vaticano II, è proprio qui che avvengono gli incontri segreti tra diplomatici vaticani e sovietici per permettere ai vescovi dell’Europa dell’est di partecipare al concilio, a patto che durante le sessioni non vengano attaccati politicamente i paesi comunisti; oppure quando circa venti anni dopo Fanfani e Craxi stipulano l’alleanza tra DC e PSI che fa tramontare definitivamente l’esperimento del compromesso storico. Il racconto delle varie elezioni dei presidenti della Repubblica, con la speranza di Fanfani, regolarmente tradita, di riuscire a conquistare il Quirinale, oppure dei fratricidi Congressi della Democrazia Cristiana, acquistano sfumature nuove e significati inesplorati sotto lo sguardo di Bernabei.
Il libro è pieno di aneddoti, incontri segreti, sensazionali imprese diplomatiche di Bernabei e dei politici italiani durante le più delicate crisi della guerra fredda ‒ come quando La Pira riesce a strappare un accordo a Ho Chi Min per la riunificazione del Vietnam dopo l’indipendenza della Francia, sfumato solo per una fuga di notizie mediatica; oppure quando nel bel mezzo della crisi missilistica di Cuba, Fanfani e Bernabei aiutano a disinnescare l’escalation atomica ‒ e colmo di personaggi affascinanti come quello dell’ “Insonne”, l’anonimo uomo che tiene le fila dei rapporti con le amministrazioni statunitensi e l’apparato industriale americano. La lettura del libro di Meucci è fondamentale per gettare nuova luce sulle vicende che hanno condizionato la vita della nostra Repubblica durante gli anni in cui Bernabei era uno dei suoi protagonisti. Rileggere quei fatti, illuminati dalle sue considerazioni, aiuta ad analizzarli in maniera non convenzionale e a continuare quel processo di ricostruzione storica che diventa sempre più necessario per comprendere la complessità del presente.