Nel dibattito pubblico, da qualche anno l’austerity è diventata il nemico numero uno. Termine che ricorda le politiche economiche volute dalla Germania, seguite da Bruxelles e arrivate in Italia attraverso il governo Monti. A dire il vero, le critiche all’austerity sono giustificate: se si fanno politiche restrittive, diminuisce il Pil e aumenta il debito. Di fronte ai problemi sociali e ai conseguenti sbandamenti della democrazia occorre puntare sulla crescita. Giusto. Ma attenzione: la crescita deve essere sostenibile. Dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. Per molti aspetti, la legge finanziaria che comincia l’iter in Parlamento riporta l’Italia agli anni del tramonto della Prima Repubblica, agli anni cioè della spesa facile. Dei 33 miliardi di manovra, ben 22 sono in deficit dichiarato (ammesso e non concesso che gli altri 11 miliardi trovino poi le coperture indicate). Gli intenti elettorali di breve periodo sono evidenti. Non a caso il governo ha garantito la disponibilità delle principali misure già nei primi mesi dell’anno (entro marzo, cioè prima delle europee).
La manovra è espansiva ma manca di visione, quasi che si sia voluto buttare paglia su un fuoco che si sta spegnendo: la fiamma si ravviva per qualche secondo, ma poi torna tutto come prima. Anzi, peggio. L’errore sta nel non capire il cambiamento storico in atto: l’epoca di una crescita trainata dai consumi è finita. Certo i consumi sono importanti. Sempre. Ma la crescita si regge nel tempo se si diventa capaci di investire seriamente sul futuro, senza bruciare le risorse (che sono limitate) per sostenere i consumi nel breve termine Per indicare la dipendenza dal gioco, la lingua inglese usa il termine addiction . Parola che viene dal latino addictum che indicava colui che, pur rimanendo cittadino de iure , de facto perdeva la propria libertà a causa dei troppi debiti. Una manovra espansiva tutta centrata sull’aumento del debito e sul sostegno al reddito dà un messaggio sbagliato al Paese. Finendo per renderlo addictum ! Proprio come è accaduto negli anni 80.
Il cambiamento di cui l’Italia ha bisogno è molto diverso: ci vuole sì una politica economica espansiva. Ma le risorse aggiuntive devono servire per investire (davvero) nel futuro: rafforzando gli investimenti pubblici e privati, i giovani e la natalità, la formazione e la ricerca, la lotta al dissesto idrogeologico, al degrado del patrimonio culturale e delle periferie. Occorre opporsi ai diktat della finanza e dei mercati speculativi, ma dicendo loro che si sta lavorando per creare un patto sociale tra tutti gli italiani che vogliono combattere gli sprechi, lottare contro l’evasione (di recente stimata in 110 miliardi di euro!), sconfiggere la corruzione e il clientelismo. Si libera veramente il popolo se la politica si mette a capo di tutti coloro che lottano contro chi distrugge risorse e sfrutta il lavoro. Federando tutti coloro che creano nuovo valore (economico ma anche ambientale, culturale, sociale) per sé e per gli altri. Nella prospettiva di un modello che fa della logica della sostenibilità integrale il proprio criterio di riferimento.
Insomma, avevamo capito che l’Italia avesse bisogno di un cambiamento profondo. Non di un ritorno alle origini del nostro declino .