Ecco perché Fontana ha disobbedito a Salvini

La decisione sul coprifuoco non è stata condivisa con il segretario della Lega
di Carmelo Lopapa
ROMA — I patti con Attilio Fontana erano altri. Matteo Salvini era convinto di essere stato chiaro, dopo il faccia a faccia tra i due di lunedì in centro a Milano. «La Regione non può caricarsi in via esclusiva delle responsabilità di una stretta che incide sulla qualità della vita dei cittadini », aveva suggerito al suo governatore. «E poi, non vorrei più leggere la parola coprifuoco». Il presidente della Regione più segnata dalla nuova ondata dei contagi, lì per lì si è detto d’accordo. La situazione a inizio settimana era già critica ma non si era materializzato ancora lo spettro del raddoppio dei casi in un solo giorno, culminato nei 4.126 di ieri (1.858 nella sola Milano).
Il leader leghista ne faceva anche una questione politica: «Conte non ci sta coinvolgendo in nessun passaggio, nemmeno sulle misure dell’ultimo Dpcm, ora non possono essere le regioni, quasi tutte di centrodestra, a togliergli le castagne dal fuoco». Ci pensino i Comuni a fare le ordinanze (anche in Lombardia amministrati soprattutto dal centrosinistra), era l’implicita conclusione del suo ragionamento.
Succede però che nelle successive 24 ore la situazione sia sfuggita ad ogni controllo “politico”. Martedì nell’arco di mezza giornata Fontana sente i sindaci dei capoluoghi, prende atto della gravità della situazione, dell’impennata della curva e decide col sostegno dei primi cittadini di scrivere l’ordinanza che introduce di fatto il coprifuoco notturno 23-5, assieme ad altre misure restrittive. Non lo chiama coprifuoco, certo, ma quello nella sostanza è. E il provvedimento viene inviato prima di sera al ministero della Salute, dove verrà controfirmato l’indomani da Roberto Speranza. Siamo a ieri mattina.
Matteo Salvini non è stato informato in via preventiva del documento. «Voglio vederci chiaro», è sbottato infatti davanti alle telecamere. Raccontano che l’abbia presa malissimo. Dopo è andata anche peggio: quando ha chiesto conto e ragione a Fontana si è sentito rispondere che l’atto era solo formalmente della Regione, che la richiesta era stata formulata dai Comuni. Come dire, la sua firma da governatore era solo un «atto dovuto». Non ha convinto il segretario federale. Rimasto col cerino in mano. Soprattutto perché è passata la vulgata di un suo tentativo di stoppare l’ordinanza e addirittura di voler interferire sul merito delle misure («A che titolo interviene? Vuole bloccare le restrizioni per fare propaganda», le accuse da Pd e M5S). «Non è così, non l’avrei fatto mai», spiegava ieri l’ex vicepremier ai suoi. Nei 90 minuti di video collegamento con i suoi in Lombardia, nel pomeriggio di martedì, al governatore, agli assessori e consiglieri aveva chiesto «maggiore coordinamento », questo sì. Non altro, giura.
Sta di fatto che dopo l’incidente delle ultime 48 ore dentro la Lega è sceso il gelo. Da Milano a Roma dirigenti e amministratori temono di assistere di nuovo al film già visto da marzo a giugno. Quando nei mesi più duri del lockdown il partito è stato strapazzato da una comunicazione del leader ondivaga quando non contraddittoria, sulla strategia per affrontare l’emergenza. Spesso culminata in cambi repentini di rotta (aprire i confini, anzi no chiuderli; riaprire tutte le attività, anzi chiudere le saracinesche; tutti a messa per Pasqua, meglio di no).
Nella giornata di ieri non è passato inosservato il silenzio del governatore Luca Zaia sulla vicenda lombarda e sulla riesplosione della pandemia. Non ha voluto mettere becco su competenze e territorio che non sono le sue, la ragione ufficiale. La verità, racconta chi gli ha parlato, è che secondo il “Doge” la politica non dovrebbe entrare nella gestione della crisi. Le decisioni devono essere adottate solo da chi amministra, col concorso di scienziati ed esperti, ed esclusivamente per ragioni sanitarie.
Il suo collega Fontana ieri era assai provato. Dispiaciuto per l’«equivoco », per dirla così, col capo. Ma soprattutto perché le due ordinanze (la seconda operativa, sulle regole da seguire), di appena 24 ore fa, rischiano di essere già vecchie. A Milano ora l’incubo si chiama lockdown, altro che coprifuoco.
https://www.repubblica.it/