È rimorto Falcone.

 

Scusate se non parliamo di Babbo Natale e delle sue renne, del presepe, della stella cometa, dei re magi, del cenone e dell ‘ albero (nemmeno d el l ‘ ormai celeberrimo Spelacchio romano). Anche oggi, visto che non lo fa nessun altro, ci tocca rimestare nell ‘ ultima schifezza italiana: quello che i fini dicitori chiamano ” caso Dell ‘ U t ri ” . Un caso che non esiste, visto che l ‘ inventore di Forza Italia è stato condannato definitivamente a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa e dovrebbe starsene in carcere fino all ‘ estate del 2021. Ma che, siccome in Italia non c ‘ è nulla di più provvisorio delle condanne definitive dei potenti, è stato riaperto da politici, giornaloni, avvocati e magistrati su più fronti: Dell ‘ Utri deve tornare a casa perché è malato (istanza respinta perché la scarcerazione, specie di un mafioso, può avvenire solo quando le sue condizioni di salute sono incompatibili col carcere, e non è il suo caso, visto che può essere tranquillamente curato nelle strutture sanitarie interne o convenzionate al penitenziario di Rebibbia) o, in subordine, merita la grazia (che però non ha neppure chiesto); Dell ‘ Utri deve tornare a casa perché ha chiesto la revisione del suo processo dopo che la Corte europea dei diritti dell ‘ Uomo di Strasburgo (Cedu) ha dichiarato ineseguibile la pena per Bruno Contrada, condannato per il suo stesso delitto (istanza condivisa dal Pg di Caltanissetta, su cui deciderà la Corte d ‘ appello). Qualcuno si domanderà: perché questo scatenamento proprio adesso, quando il pregiudicato ha scontato appena metà della pena? Noi un ‘ idea ce l ‘ avremmo. Tutto comincia il 9 giugno, quando la Procura di Palermo deposita al processo sulla trattativa Stato-mafia 5 mila pagine di conversazioni intercettate in carcere fra il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, mandante delle stragi di via D ‘ Amelio del ‘ 92 e di Firenze, Roma e Milano del ‘ 93, e il suo compagno di ” socialità ” , il camorrista Umberto Adinolfi. Le stesse carte vengono trasmesse alle Procure di Caltanissetta e Firenze che indagano sulle stragi. In quei dialoghi, intercettati fra febbraio 2016 e aprile 2017, Graviano sembra confermare le frasi che il suo killer ora pentito, Gaspare Spatuzza, disse di avergli sentito pronunciare ai primi del ‘ 94: e cioè che la strategia stragista era funzionale a B. e Dell ‘ Utri che ” ci stanno mettendo l ‘ Italia nelle mani ” . ” Berlusca – confida Graviano ad Adinolfi – mi ha chiesto questa cortesia … per questo è stata l ‘ urgenza … Nel ‘ 92 già voleva scendere … voleva tutto, ed era dis tu rb at o … Lui voleva scendere, però in quel periodo c ‘ erano i vecchi, lui mi ha detto: ci vorrebbe una bella cosa ” . Eancora: ” Avevamo acchiap patu un Paisi di chistu ‘ ni manu… 25 anni fa, mi sono seduto con te, giusto è?… Traditore… pezzo di crasto che non sei altro, ma vagli a dire com ‘ è che sei al governo, che hai fatto cose vergognose, ingiuste… Ti ho portato benessere. Poi mi è successa una disgrazia, mi arrestano, tu cominci a pugnalarmi. Per cosa? Per i soldi, perché tu ti rimangono i soldi … dice, non lo faccio uscire più e sa che io non parlo perché sa il mio carattere e sa le mie capacità… Tu lo sai che mi sono fatto 24 anni, ho la famiglia distrutta… Alle buttane glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso… e tu mi stai facendo morire in galera senza che io abbia fatto niente… ” . Parole che hanno indotto i pm e il gip di Firenze a riaprire le indagini archiviate su B. e Dell ‘ Utri per concorso nelle stragi del ‘ 93. Parole che devono avere spaventato molti ambienti politici e istituzionali, tantopiù che Graviano affidava all ‘ amico – in procinto di uscire dal carcere – un messaggio (ricattatorio) da trasmettere a un intermediario verso il mondo berlusconiano. E che, dopo aver ricevuto da Palermo un avviso di garanzia per minaccia a corpo politico dello Stato, il boss discuteva (già sapendo di essere ascoltato) con Adinolfi sull ‘ opportunità o meno di dire ciò che sa ai magistrati. Una prospettiva terrificante per chi ha qualcosa da nascondere sulle stragi e le trattative. Intanto, a Palermo, è iniziata la requisitoria al processo Trattativa e i pm hanno ricordato ciò che fin dal ‘ 96 raccontò il pentito Salvatore Cancemi, unico boss membro della Cupola a collaborare: dopo Capaci, a metà giugno ‘ 92, Riina riunì i capi in casa Guddo per comunicare l ‘ urgenza di eliminare, dopo Falcone, anche Borsellino. E stroncò le perplessità di alcuni per i tempi ravvicinati della nuova strage con parole definitive: ” Lo dobbiamo fare presto, la responsabilità è mia, ora e in futuro bisogna appoggiare Berlusconi e Dell ‘ Utri, sarà un bene per tutta Cosa Nostra ” . Ora, quando si dice la combinazione, proprio mentre i fantasmi del passato più buio tornano a turbare i sonni del Caimano di nuovo al centro della scena politica, ecco una circolare del ministero della Giustizia che allenta vieppiù il 41-bis; ed ecco la campagna a più voci e a più teste per liberare Dell ‘ Utri. Una manovra a tenaglia che fa sospettare un bel messaggio ai boss detenuti al carcere duro e al compare di B.: tranquilli e zitti, stiamo lavorando per voi. Non solo: se la sentenza Cedu su Contrada, fondata su un grossolano errore, rischia di falcidiare tutte le altre condanne per concorso esterno degli ultimi 40 anni, la responsabilità è anche del governo Renzi. Che ha alzato loro la palla per far condannare l ‘ Italia il 14.4.2016 per aver osato punire l ‘ ex numero 3 del Sisde complice di Cosa Nostra. L ‘ ha scritto nero su bianco la Cassazione nella sentenza ” Infinito ” sulla mafia in Lombardia. I rappresentanti del governo italiano avrebbero dovuto ricordare un dato banale: il concorso esterno in associazione mafiosa esiste da quando esiste l ‘ a s so ci a zi on e mafiosa (cioè dalla legge Rognoni-La Torre del 1982, mentre per altri reati, come il brigantaggio, fu applicato dalla Cassazione siciliana già a fine ‘ 800), essendo nient ‘ altro che il combinato disposto fra la norma incriminatrice (l ‘ art. 16 bis del Codice penale sull ‘ a s s o c i azione mafiosa) e l ‘ art. 110 (il concorso, cioè la complicità in un qualsiasi reato). E se il concorso esterno fu applicato ai complici della mafia solo nel 1987 da Giovanni Falcone nel processo maxi-ter, è perché prima nessun giudice aveva osato toccare i rapporti mafia-politica. Invece i ” giuristi ” del nostro ministero degli Esteri (guidato da Angelino Alfano) concordarono e sottoscrissero con i difensori di Contrada una ” pr em e ss a ” che spacciava il concorso esterno per una costruzione di ” origine giurisprud e n z i al e ” , non normativa e dunque non prevedibile dai cittadini. Spalancando la strada alla bizzarra tesi difensiva che lo riteneva non punibile fino al 1994, quando fu definitivamente tipizzato dalla Cassazione a sezioni unite. Così, con un autogol (o, per dirla con la Cassazione, con una ” af f er m az i on e giuridicamente inesatta ” ), il governo Renzi ha fatto condannare l ‘ Italia a risarcire i danni a Contrada per aver violato il principio di irretroattività della legge penale: cioè per averlo punito per un reato che lui non poteva prevedere. Una sciocchezza sesquipedale: Contrada, quando faceva fuggire i boss avvertendoli dei blitz della Squadra Mobile da lui guidata, sapeva benissimo che stava commettendo reati: ammesso e non concesso che non prevedesse il concorso esterno (peraltro già esistente nel Codice), metteva almeno in conto di rischiare il favoreggiamento o l ‘ a ss o ci azione mafiosa tout court . Ma siamo poi sicuri che l ‘ a utogol del governo sia stato involontario? Noi no, visto l ‘ uso che si fa della sentenza Contrada per mandare a casa Dell ‘ Utri con tante scuse. Come se anche D e ll ‘ Utri non sapesse, nei 30 anni in cui fece da ” m ed ia to re fra Cosa nostra e l ‘ imprenditore Silvio Berlusconi ” (sentenza della Cassazione), che rischiava di finire in galera per concorso esterno o interno in mafia, o per favoreggiamento mafioso, o per concorso in estorsione mafiosa. Di questo passo, prima o poi toccherà scusarsi pure con gli eredi di Vito Ciancimino e dei cugini Salvo. E condannare gli eredi di Giovanni Falcone, che per primo applicò il concorso esterno anche alla mafia. Il tutto per assicurare la tenuta stagna dei tanti mafiosi, esterni o interni, che restando dentro un altro po ‘ potrebbero cedere e parlare. Indovinate di chi.
Il Fatto Quotidiano.
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