Continua l’opera di ristruttutrazione degli apparati centrali targata Mario Draghi. A farne le spese è uno degli ultimi fedelissimi di Giuseppe Conte a essere rimasti nelle stanze che contano; Gennaro Vecchione, ex-direttore del Dis, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. A servire su un piatto d’argento il siluramento del vertice dei servizi è stato proprio uno dei suoi protetti, Marco Mancini, dirigente del Dis, scoperto dalla trasmissione d’inchiesta Report ad intrattenere un colloquio non ufficiale con Matteo Renzi all’autogrill di Fiano Romano. Il rapporto fra Mancini e Vecchione nasce sotto il segno del governo Conte, con il capo del Dis nella veste di maggiore sponsor per la promozione del quadro dei servizi a vicedirettore dell’Aisi (il sistema di sicurezza interna). La complicità fra i due viene presto a mancare però, a causa della crociata renziana contro il governo Conte e la futura caduta dell’esecutivo: l’incontro fra Mancini e il senatore di Rignano, in procinto di assestare la spallata definitiva all’avvocato del popolo, sarebbe da ascrivere proprio al tentativo del dirigente dei servizi di salvare la propria promozione, nonostante l’imminente avvicendamento di potere. Le immagini rese pubbliche dalla redazione di Report e le successive indiscrezioni che avrebbero visto Mancini intrattenere colloqui ufficiosi con protagonisti della politica, hanno sollevato le attenzioni del Copasir, il Comitato per la Sicurezza della Repubblica, che ha convocato in audizione Vecchione. L’ex vertice dei servizi ha dichiarato di non essere al corrente delle azioni del suo agente e presto è stata resa pubblica la sua sostituzione, ravvisando l’incapacità di tenere le redini dei suoi sottoposti.
Dopo la nomina di Franco Gabrielli a sottosegretario con delega ai servizi segreti, Draghi prosegue così la sua opera di ristrutturazione del sistema di sicurezza, nominando Elisabetta Belloni al vertice del Dis. 63 anni, già da tempo si trova all’interno degli apparati profondi italiani e può vantare una lunga carriera. Con Mario Draghi condivide la formazione gesuita, presso l’Istituto Massimiliano Massimo, nel primo anno in cui la prestigiosa scuola apriva alle alunne donne. Dopo una carriera diplomatica spesa fra Vienna e Bratislava, nel 2004 si stanzia a Roma, vedendosi nominare al vertice dell’Unità di Crisi del Ministero degli Esteri. Alla Farnesina La Belloni inizia a collaborare con l’ambiente dei servizi segreti, in particolare con l’AISE – il servizio di sicurezza esterna- nel seguire le vicende di cittadini italiani in difficoltà, come nel caso di Daniele Mastrogiacomo, giornalista di Repubblica rapito in Afghanistan nel 2007. Nel 2015, dopo una serie di esperienze all’interno delle direzioni generali della Farnesina, viene nominata capo di gabinetto di Paolo Gentiloni, al tempo Ministro degli Esteri. La consacrazione definitiva avviene un anno dopo quando, a seguito delle dimissioni di Michele Valensise, per Elisabetta Belloni si apre la strada verso uno dei ruoli più ambiti all’interno dell’apparato diplomatico italiano: Segretario Generale della Farnesina.
Se è pur vero che l’esperienza internazionale della Belloni è nettamente minore di quella di molti pretendenti al ruolo di segretario generale – evidenza che i suoi detrattori non mancano di sottolineare – la nostra può vantare un profilo da Grand Commis esemplare. Roma, i palazzi, le trame di potere, le burrasche politiche, Elisabetta Belloni le ha vissute tutte e cavalcate, con grande riservatezza, ma ottimo calcolo strategico: la sua ascesa alla massima carica tecnica della Farnesina è arrivata in un lungo arco temporale che l’ha vista superare indenne l’avvicendamento dei governi Berlusconi, Prodi, Monti, Renzi, Gentiloni e Conte. Anche Mario Draghi, impegnato in una razionalizzazione prussiana dello Stato – molto più che nelle questioni economicistiche per le quali si pensava fosse stato chiamato – ha fatto cadere la sua scelta per rifondare l’apparato di intelligence su un profilo squisitamente interno allo stato profondo. Che la casella di Segretario Generale fosse in procinto di liberarsi era nell’aria, la scorsa tornata di nomine illustri nelle più prestigiose cancellerie internazionali lasciava presagire un rinnovato interesse da parte dei papabili, i pezzi da novanta della diplomazia italiana, verso il vertice amministrativo della Farnesina.
La permanenza di Vecchione ai vertici del Dis era probabilmente segnata fin dai primi giorni dell’esecutivo Draghi, ma l’ex direttore della BCE ha preferito mantenere occupata la casella, per evitare che il nome della Belloni venisse tirato per la giacca, preferendo allontanare le personalità più rampanti dall’agognato seggio di Segretario Generale, alcuni particolarmente legati a Giuseppe Conte, destinandoli ad ambasciate di lusso. L’avvicendamento ai vertici dell’Intelligence si è potuto così compiere con serenità, aiutato dalla questione Mancini, permettendo ad Elisabetta Belloni di lasciare il Ministero degli Esteri e diventare la nuova “M” degli 007 italiani, anche qui prima donna a ricoprire l’incarico. A sostituirla alla Farnesina è stato designato Ettore Sequi, già capo di gabinetto di Luigi di Maio. Anche questa nuova nomina ha suscitato forti perplessità, probabilmente da addurre anche all’ambizione unanime che grava attorno al Segretariato Generale del Ministero. Diplomatico di lungo corso, Sequi ha servito in Pakistan, Afghanistan e Albania, approdando poi a Pechino come ambasciatore italiano presso la Repubblica Popolare Cinese. Proprio i rapporti con la Cina sono al centro delle critiche, che vedono il diplomatico come maggiore fautore del flirt del Governo Conte I con l’Impero di Mezzo e del contestato memorandum sulla Belt and Road Initiative. Non che Sequi non possa vantare un certo grado di confidenza con la politica profonda italiana, avendo ricoperto il ruolo di capo di gabinetto di Federica Mogherini e Paolo Gentiloni, cedendo il testimone proprio alla Belloni, una volta ricevuto, nel 2015, l’incarico diplomatico in Cina. L’operazione è un successo anche per Luigi di Maio, introdotto alla ragion di stato proprio dalla Belloni, che vede la promozione al prestigioso vertice dell’Intelligence nazionale del proprio nume tutelare nei mesi passati e mantiene saldo il rapporto di potere interno alla Farnesina, assicurando la Segreteria Generale al suo collaboratore più stretto. Asceso alle stanze ministeriali cavalcando la retorica anti-establishment del Movimento 5 Stelle, oggi Luigi Di Maio tiene saldamente le redini della Farnesina, navigando in una rete di potere comprovata – come dimostra la promozione di Ettore Sequi- dimostrandosi in grado, probabilmente proprio grazie alle personalità a cui ha deciso di affiancarsi, di superare anche la prova Draghi, nel cui esecutivo molti davano per scontato il siluramento del pentastellato da un Ministero così prestigioso e strategico. Elisabetta Belloni, assicurata l’innocua transizione alla Farnesina, ora può dedicarsi al progetto draghiano di rifondazione degli apparati. L’operazione sarà draconiana con un prossimo allontanamento – secondo il quotidiano La Stampa- di molti 007 entrati sotto la gestione di Vecchione e legati al periodo segnato dagli esecutivi Conte, che hanno visto un’eccessiva vivacità nel perseguire affari di bottega e avanzamenti di carriera, scatenando divisioni e contese intollerabili per un servizio di intelligence che si definisca dignitosamente tale. La volontà di Draghi è quella di rilanciare l’Italia sul campo internazionale, mostrandosi in particolare utile al dominus americano, nuovamente interessato a intestarsi la leadership mondiale dopo l’elezione di Biden.
Per riportare l’Italia all’attenzione di Washington la necessità di rilanciare il comparto di Intelligence risulta fondamentale e la Belloni, navigata esperta degli apparati, è chiamata proprio a compiere questo mandato. Rimangono inoltre altre questioni aperte attorno al mondo dei servizi: dal tema sempre aperto di un reparto di cyber-sicurezza, che Conte voleva costituire in fondazione privata, attirandosi le accuse di mirare ad un servizio segreto parallelo alle proprie dirette dipendenze e nettamente rigettato poi dal sottosegretario alla sicurezza Gabrielli, alle vicende inerenti il Copasir. Il Comitato per legge dovrebbe infatti rispettare dei criteri di trasparenza e controllo che prevedono che la Presidenza sia assegnata al partito d’opposizione. Nonostante la Lega ora sieda nell’esecutivo Draghi, Raffele Volpi, parlamentare del Carroccio, presiede ancora il Copasir. Fratelli d’Italia reclama un cambio di vertice, ma i presidenti delle due camere hanno ribadito la conformità attuale del Comitato per la Sicurezza ai principi di equilibrio politico che lo guidano. A ben vedere la permanenza di Volpi, che era promesso sottosegretario nel nascente governo Draghi, potrebbe essere stata concordata proprio in virtù di una maretta interna ai servizi che ancora doveva essere risolta.