Un commerciante, un marito, padre di due figli e una figura di spicco nella comunità italiana ad Hamilton, in Ontario, Canada. Quando, nel dicembre del 2018, viene condannato a 8 anni di carcere per traffico di droga, i giornali ne parlano così. Lui è Domenico “Dom” Violi, 55 anni, che poche settimane fa è stato rilasciato «on day parole», direbbero i canadesi. Ciò significa che per un periodo di prova della durata di sei mesi potrà uscire dal carcere durante il giorno per vedere i suoi familiari e continuare la sua attività commerciale: rivendita di pasta, olio d’oliva, caffè e pavimenti in legno ad Hamilton. La sera dovrà però far ritorno in cella. Ma lui è anche un boss. O meglio, il reggente di uno dei tre storici clan che per decenni si sono spartiti la quarta città più popolosa del Canada: i Luppino-Violi. Gli unici rimasti, di fatto, dopo che faide e regolamenti di conti hanno annientato i gruppi Papalia e Musitano, entrambi con solide origini calabresi e altrettanto solidi rapporti con le famiglie di cosa nostra americana.
La doppia affiliazione
Proprio come “Dom” Violi, che – come ricorda la professoressa Anna Sergi, criminologa dell’Università dell’Essex, in un paper di prossima pubblicazione – nelle intercettazioni dell’inchiesta Project OTremens della Royal Canadian Mounted Police (RCMP) e dell’Fbi sostiene di essere un «underboss» per conto della famiglia siciliana dei Todaro di Buffalo. Se confermato, si tratterebbe del primo canadese a ricoprire tale ruolo per cosa nostra americana, nonché un raro esempio di doppia affiliazione: da un lato i siciliani, dall’altro il Siderno Group, avamposto della ’ndrangheta calabrese nella Great Toronto Area. Un elemento non di poco conto e che pone Domenico Violi in una posizione di comando nel delicato scenario dell’underworld criminale di Hamilton.
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Ma che il 55enne fosse un capo lo si sapeva già. E lo sa bene anche il Correctional Service of Canada (CSC), l’agenzia federale che gestisce il sistema carcerario canadese. Dopo essersi opposta nei mesi scorsi alla libertà vigilata per “Dom” Violi, la CSC ha dato parere negativo al rilascio – seppur parziale – del boss. La preoccupazione maggiore ruota attorno all’influenza che l’uomo esercita sia davanti sia dietro le sbarre. Un’indagine interna del sistema carcerario l’anno scorso ha infatti intercettato numerosi movimenti sospetti di denaro fra i detenuti del braccio in cui è recluso Violi, spesso intermediati da un soggetto ritenuto in stretto contatto con il 55enne. Gli agenti penitenziari hanno poi segnalato come Violi spesso abbia esercitato la propria autorità sugli altri carcerati, ottenendo perfino le loro razioni di cibo.
Nel 2019, peraltro, Violi si oppose a un tentativo di trasferimento in una prigione di media sicurezza dopo che la polizia aveva allertato il CSC sul fatto che la vita di Violi stesso fosse in pericolo.
La faida con i Rizzuto
Non a caso, Dom e il fratello Giuseppe “Joe” Violi, condannato a 16 anni per narcotraffico, sono gli ultimi due esponenti di spicco delle storiche famiglie di mafia rimasti ad Hamilton. Proprio dopo il loro arresto nell’operazione Project OTremens, nel 2017, l’ondata di violenza in città aveva raggiunto livelli mai visti prima, portando alle morti dei fratelli Musitano, i “Sopranos” canadesi, oltre a personaggi emergenti come Albert Iavarone o già affermati come Cece Luppino, figlio del boss Rocco e, soprattutto, nipote del capostipite della famiglia, Giacomo Luppino, che nel 1955 emigra in Canada da una frazione di Oppido Mamertina, in Calabria. Ma quel Giacomo Luppino è anche il suocero di Paolo Violi, padre di “Dom” e “Joe”, freddato a colpi di lupara il 22 gennaio 1978 mentre gioca a carte in un bar di Montreal. La sua morte rappresenta l’ultimo atto della faida con i potenti Rizzuto, considerati di fatto la “sesta famiglia” di New York con controllo assoluto sulla regione del Québec.
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Oggi siamo di fronte a un nuovo rovesciamento nei rapporti di forza, complice anche il declino dell’impero dei Rizzuto. Ma anche un periodo di tregua, perlomeno apparente, in nome degli affari. A confermarlo è lo stesso Domenico Violi che nel 2017 è intercettato insieme a un poliziotto sotto copertura in Project OTremens. “Dom”, come ricorda la professoressa Sergi nel suo studio, ribadisce il concetto che ora «tutti vogliono essere amici», che «al giorno d’oggi tutti lavorano assieme» e che le vecchie faide appartengono al passato.
L’operazione Project OTremens
Per spiegare l’importanza dell’operazione Project OTremens bastano i numeri. Oltre 200 agenti di polizia coinvolti, decine di intercettazioni, circa un migliaio di informative prodotte, 319 incontri fra indagati ripresi e trascritti, 130 mila atti investigativi redatti. Il tutto confezionato in un terabyte di materiale d’accusa che ha contribuito ad assestare un duro colpo alle attività economiche della criminalità organizzata che fa affari lungo il confine tra Canada e Stati Uniti. Le indagini della RCMP, la Royal Canadian Mounted Police, svolte in collaborazione con l’ufficio del procuratore distrettuale del distretto Est di New York e l’Fbi, sono durate quasi quattro anni, dal 2013 al novembre del 2017, e hanno permesso di documentare dall’interno parte della struttura interna di cosa nostra attiva nella GTA, la Great Toronto Area. Un ruolo fondamentale è stato svolto da un agente sotto copertura della polizia canadese che, agendo da infiltrato, è entrato a pieno titolo all’interno della famiglia Bonanno di New York, lavorando in prima persona nel business del traffico di droga.
Tramite briefing periodici con l’agente sotto copertura e videoregistrazioni segrete, la polizia ha quindi potuto cristallizzare ruoli e rituali interni dell’associazione, compresa la cerimonia di affiliazione dell’infiltrato alla famiglia Bonanno. Ma anche le «confessioni» di Domenico Violi, l’ultimo boss calabrese di Hamilton, che – non sapendo di essere intercettato – ha ammesso di essere stato promosso «underboss» per conto di una famiglia siciliana, i Todaro di Buffalo. Grazie agli acquisti di altri agenti sotto copertura, inoltre, gli inquirenti sono riusciti a bloccare sul nascere l’immissione sul mercato di importanti quantitativi di droga. Basti pensare che, nel bilancio finale, la polizia ha sequestrato sei chilogrammi di fentanil, 40 chili di cocaina (in più è stato documentato un tentativo d’importazione di un carico da 200 Kg), tre chili di MDA, 13 Kg di eroina, 260 mila pillole di metanfetamine ed MDMA.
Gli arresti sono stati svolti in contemporanea in Canada e negli Stati Uniti, con accuse a vario titolo di narcotraffico e traffico di armi. Dei 13 imputati processati su suolo canadese (compresi diversi fra corrieri e narcos impegnati nell’importazione di coca e fentanil), 11 si sono dichiarati colpevoli e sono stati condannati a pene comprese fra i 17 e i quattro anni di carcere.
Quel che è certo è che per sopravvivere nell’underworld criminale serve essere liquidi e pronti a scendere a patti con chiunque. Perché un’alleanza crea legami solidi, duraturi nel tempo e tutela tutti. E, soprattutto, getta le basi per gli affari futuri. Tanto che Violi, come emerge dalle intercettazioni, in qualità di underboss dei Todaro di Buffalo voleva proporsi come garante dell’affiliazione del fratello Giuseppe direttamente al gruppo Bonanno, ma anche per stabilire un contatto fra gli zii – Rocco e Natale Luppino – e il presunto boss di Buffalo, Joe Todaro. Poi però sono arrivati l’arresto e la successiva condanna per droga e i suoi progetti sono stati giocoforza interrotti. Ma ora, con la liberazione «on day parole», tutto è tornato di nuovo in discussione.