Rimettere al centro la cultura e le persone
Rimettere al centro la cultura vuol dire rimettere al centro le persone, i mondi della vita e non quello della tecnica, dello scambio e non del mercato o del consumo, riposizionarsi su un modello di sviluppo diverso da quello che ha evidenziato criticità e incongruenze. Vuol dire allontanarsi dalle rappresentazioni per lasciare spazio alla presa diretta sul reale, abbandonare i player economici mondiali e affidarsi ai corpi civici intermedi, istituzionali e non, per la valorizzazione dei beni culturali. In questo senso sono centrali le istituzioni educative e formative, responsabili dei processi di stratificazione e mobilità sociale. Non è banale ribadire quanto la cittadinanza, l’inclusione e l’innovazione non possano essere esclusive e “per pochi”: la cultura come bene comune è un asse strategico fondamentale di azione per l’inclusione, ed esprime la sostanza unica dell’umanità nel suo diritto alla vita felice.
La costruzione di un Distretto culturale evoluto richiede elevati livelli di conoscenza, saperi nati dalla condivisione, organizzazioni e sistemi sociali, culture organizzative della condivisione e della comunicazione, comunità aperte al dialogo e paesaggi sociali inclusivi. I sistemi di istruzione ed educazione diventano centrali per rileggere e affrontare l’ipercomplessità. Si tratta di reagire ad un mercato autoregolato e ad un’economia globale della precarietà, attraverso la cultura come bene comune. Ogni operazione di “privatizzazione”, seppur temporanea, di spazi pubblici e della cultura, rischia di impoverire quel senso di comunità che è apertura, inclusione. La privatizzazione è sinonimo, per i “molti”, di privazione.
Mai più una città e un territorio “museo”
Occorre ripensare la città e al suo territorio non più secondo la retorica del “museo”, bensì un museo diffuso, caratterizzato da una istanza di progettazione culturale, prima ancora che di disegno espositivo delle mostre. È un processo che richiede energie sociali, culturali e produttive, locali, che consenta di attrarre giovani intorno a un progetto di comunità. La cultura si accompagna ad apertura, condivisione, partecipazione, innovazione.
Se tutte le energie sociali venissero coinvolte nei processi di valorizzazione, l’amministrazione pubblica darebbe veramente un nuovo corso a quello che, sulla carta, è un distretto culturale naturale. È urgente dare o ridare la parola a coloro che riescono a far comunicare le discipline etico-estetiche, innestando, in un campo che i più recenti pensatori francesi chiamano della “eterogenesi”, pratiche caratterizzanti i nessi singolari tra il mondo dei segni territoriali e i mondi sociali e istituzionali, fino a ciò che riguarda le sfere più attive di ciò che potrebbe chiamarsi un’“arte delle relazioni” e “un’arte del tempo”.
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- Che fare da oggi in poi
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Ripartiamo da un concetto di città che non separa ma unisce un intero territorio provinciale, avvaliamoci delle sue energie e dei suoi paesaggi sociali, degli importanti centri di ricerca, dalle scuole musicali, dalle istituzioni culturali e delle Università, dal mondo dell’associazionismo così come di quello della produzione ed attuiamo quella “specifica azione di policy” che fa del distretto un distretto culturale un bene comune.
L’innesco processuale è dato dalla ricerca, non necessariamente formalizzata, e da una pianificazione ben precisa da parte della politica. Deve seguire il coinvolgimento di una pluralità di attori e settori che costituiscono la filiera produttiva del processo di valorizzazione dei beni culturali, non ultimo il variegato mondo dell’associazionismo. Solo attraverso processi aperti e condivisi sarà possibile dare vita a quel plusvalore localizzativo che è la costruzione di comunità attraverso la cultura. La conoscenza vera delle dinamiche socio-economiche sa che il reale valore produttivo, quello che può procurare la vita felice dei molti, è la valorizzazione attraverso l’inclusione, è l’attivazione di energie e potenzialità locali, sono le politiche attrattive per i giovani, è una dedizione fondamentale, capillare e profonda alla progettazione di comunità.