di Massimo Franco
Il contraccolpo nel centrodestra è arrivato prima del previsto. Pochi minuti dopo la sconfitta della Lega di Matteo Salvini in Emilia-Romagna, Fratelli d’Italia e Forza Italia hanno messo larvatamente sotto accusa la linea del Carroccio. Si sono cominciate a levare voci contro la «candidatura solitaria e debole» della leghista Lucia Borgonzoni. È stata espressa l’esigenza di arrivare la prossima volta a un nome frutto di «condivisione tra alleati». E si è contrapposta la vittoria della berlusconiana Jole Santelli in Calabria alla sconfitta in Emilia-Romagna della Lega.
Il messaggio trasparente è la contestazione di un radicalismo salviniano che avrebbe spaventato i ceti moderati e favorito la vittoria alla sinistra; e un avvertimento sui candidati da scegliersi per le altre sei elezioni regionali a primavera. Non significa che il primato di Salvini sul centrodestra sia in discussione. Almeno al Nord, la distanza tra le percentuali del Carroccio e quelle degli alleati rimane notevole. Ma la battuta d’arresto di domenica gli ha tolto la patina di invincibilità che gli permetteva di affermare la sua linea senza preoccuparsi del resto dell’opposizione.
Salvini ha provato ad arginare le critiche di Silvio Berlusconi sostenendo che vorrebbe una FI «più tonica». Come dire: ho perso anche per la vostra debolezza. E ha ricominciato a parlare di «coalizione di centrodestra», dopo avere sottolineato per mesi soprattutto il ruolo trainante della sua Lega. Giorgia Meloni, presidente di FdI, avverte che quando si riparlerà di Campidoglio toccherà a un esponente del suo partito, a Roma «più radicato» della Lega. E Berlusconi afferma che senza il centro il centrodestra perde. Traduzione: i piani di primato del Carroccio dovranno fare i conti con candidature alleate più moderate.
È il segno non di un’inversione di tendenza, ma certamente di una discussione che si riapre. Avere trasformato un voto locale in test nazionale, come ha fatto Salvini, lo avrebbe consacrato come leader incontestato in caso di successo. L’insuccesso rovescia invece il suo profilo di vincente, per la prima volta dopo anni. E insinua dubbi sulla capacità di aggregare un centrodestra maggioritario, schiacciando la Lega su posizioni estremiste: forti, sì, ma non abbastanza per espugnare l’Emilia-Romagna. Il governatore leghista del Veneto, Luca Zaia, si complimenta ma dice: abbiamo perso. Ma Salvini avverte che rifarebbe tutto: reazione difensiva, o incapacità a cambiare registro.
In questo secondo caso, per la destra, o centrodestra, le difficoltà potrebbero aumentare; e acuirsi la divergenze tra le tre forze d’opposizione: una dinamica che il passaggio a un sistema elettorale di tipo proporzionale è destinato ad accelerare. Il fatto che dopo i risultati in Emilia-Romagna e Calabria lo spread, e cioè la differenza tra interessi sui titoli di Stato italiani e tedeschi, sia sceso da 169 a 142 punti, è un segnale chiaro: i mercati vogliono stabilità. E quando elettrici e elettori bocciano le strategie della spallata al governo, l’Italia ne guadagna.