«Sconvolgenti criticità» sono state scoperte nel settore della sicurezza e della salute sul lavoro dei militari «in Italia e nelle missioni all’estero, che hanno contribuito a seminare morti e malattie»: è la relazione finale della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito, presentata ieri dal presidente Gian Piero Scanu – del Pd, ma non ripresentato.
Sotto accusa il «negazionismo» dei vertici militari e gli «assordanti silenzi generalmente mantenuti dalle Autorità di Governo».
Dunque una vera, sostanziale svolta che dà ragione a chi, come il manifesto, ha iniziato in solitudine questa battaglia 20 anni fa denunciando la Sindrome del Golfo che già mieteva vittime tra i militari Usa.
Che di svolta si tratta, basta vedere la violenta reazione dello Stato maggiore della Difesa, finalmente sotto accusa: «Conclusioni inaccettabili, le Forze Armate mai hanno acquistato o impiegato munizionamento all’ uranio impoverito…»; come l’immediata presa di distanza dall’esperto di radioprotezione medica che pure la relazione ha firmato: il «tono basso» deve valere in campagna elettorale anche per il dramma dell’Uranio impoverito. Che vede migliaia di militari colpiti (solo in Marina 1.101 tra morti e malati), 340 morti e già 76 sentenze di risarcimento. E la commissione ammonisce sulle «missioni all’estero», compresa quella in Niger che si annuncia.
Così, con la svolta, è giusto sottolineare una mancanza grave. Se si considerano come vittime i militari delle missioni e dei poligoni e il personale civile delle basi, quello che scompare è infatti il destino delle popolazioni civili colpite dai bombardamenti all’Uranio impoverito – in Iraq, Somalia, Afghanistan, ex Jugoslavia (Bosnia e Kosovo), ecc… Quali centri di verifica medica e quali risarcimenti per queste vittime e queste aree devastate dalle nostre guerre «umanitarie»?