«Necessario vincere/più necessario combattere». Gli spettatori che ogni sera a due passi da Porta Portese escono dal Nuovo Sacher, la raffinatissima sala cinematografica romana gestita da Nanni Moretti, si imbattono nello slogan mussoliniano che campeggia sulla facciata del capolavoro del razionalismo italiano firmato nel 1933 da un altro Moretti, l’architetto e urbanista Luigi. Era la Casa della Gioventù Italiana del Littorio, da poco sottoposta a un attento restauro. Poi basta spostarsi di qualche chilometro per approdare all’Eur e scrutare il palazzo della Civiltà Italiana di Giovanni Guerrini, Ernesto Bruno Lapadula e Mario Romano, più celebre come il «Colosseo quadrato». Sul frontone si legge: «Un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori». Un passaggio chiave del discorso di Mussolini del 2 ottobre 1935, la proclamazione della guerra all’Etiopia.
Girare per tante strade di Roma e di altre città significa imbattersi continuamente in icone architettoniche del fascismo, in slogan mussoliniani, in ritratti del duce. Basta una manciata di esempi. Il monumento alla Vittoria a Bolzano, un tripudio di fasci. La stessa stazione di santa Maria Novella a Firenze del Gruppo Toscano guidato da Giovanni Michelucci, amata da Mussolini perché Margherita Sarfatti lo convinse che, dall’aereo, il complesso sembrava un fascio. Per non parlare del clamoroso caso del «Palazzo M» di Latina, già Littoria.
L’obelisco del Foro Italico, fulcro del progetto del «Foro Mussolini» di Enrico Del Debbio e concluso sotto la guida proprio di Moretti, è il caso più noto per la scritta «Mussolini Dux», oggi al centro di un’infuocata polemica dopo l’intenzione attribuita alla presidente della Camera, Laura Boldrini, di cancellarla. C’è stata una precisazione, ma la discussione è aperta in un momento in cui il movimento del razionalismo italiano (a suo tempo elogiato persino da Antonio Gramsci perché capace, scrisse, di «creare un gusto di massa») viene ripensato e apprezzato. Spiega Giorgio Muratore, docente di Storia dell’architettura contemporanea a «La Sapienza» di Roma: «In questo momento il Razionalismo italiano, e in generale il periodo tra le due guerre nel nostro Paese, è in assoluto il capitolo dell’architettura contemporanea più studiato nelle principali università del mondo. Interessa il rapporto creato tra edificio pubblico e spazio esterno, il dialogo con la luce naturale. Non a caso l’anno scorso il Guggenheim a New York ha dedicato una grande mostra al Futurismo proprio in quegli anni, fino al 1944». È immaginabile una cancellazione degli slogan mussoliniani? «Sarebbe preoccupante se le scritte fossero ritenute ingombranti. Invece l’ipotesi di toglierle è semplicemente imbarazzante».
Sulla stessa linea lo storico Vittorio Vidotto, autore del saggio Roma contemporanea edito da Laterza nel 2001, considerato un punto di svolta nell’analisi del Mussolini urbanista, e curatore — in questo periodo — della bella mostra all’Ara Pacis dedicata alla storia dell’Eur. «Cancellare le tracce urbanistiche del fascismo? Non ha alcun senso. Ormai vanno, anzi, conservate e restaurate come elementi importanti della nostra storia. In pura teoria, dovremmo distruggere autentici capolavori architettonici, monumentali, persino musivi: penso agli splendidi mosaici proprio del Foro Italico, oggi devastati dagli skateboard».
Vidotto testimonia come la vicenda dell’obelisco non sia nuova: «Nel Dopoguerra c’è chi ne propose l’abbattimento. Ma, assai democristianamente, si risolse il nodo sostenendo che la spesa sarebbe stata eccessiva. Nel 1960, sotto Olimpiade, venne cancellato il mosaico con il giuramento fascista. Nel 1990 arrivò un nuovo mosaico con un leone: un involontario omaggio postumo a Mussolini, che era nato sotto quel segno zodiacale…».
Paolo Conti