Debito, la «promessa» Usa.

 

il patto (a parole) con conte
Più si avvicina la legge di bilancio, più sale l’incertezza sugli obiettivi di deficit, più cresce la tensione finanziaria, più aumenta fra alcuni componenti del governo la ricerca di una via di fuga: un finanziatore di ultima istanza, al quale lo Stato italiano si possa affidare per sostituire gli investitori privati sempre più riluttanti a aumentare l’esposizione sui titoli di Stato di Roma. Uno dei segnali recenti di questa ansia di protezione dai mercati è arrivato giorni fa con un’uscita di Paolo Savona. Il ministro per gli Affari europei si è spinto a immaginare una «garanzia» della Russia sul debito pubblico italiano, se il sostegno della Banca centrale europea venisse meno. Non è chiaro cosa voglia dire Savona e come ciò potrebbe funzionare in pratica: per tutte le società di valutazione della sostenibilità del debito, il governo di Mosca ha una nota (il cosiddetto rating) più bassa dell’Italia e Standard and Poor’s, l’agenzia più importante, la giudica addirittura come «non investimento» o «spazzatura». Tra l’altro l’economia russa è più piccola di quella italiana di circa il 30% e ha entrate fiscali ancora minori in proporzione. L’uscita di Savona sembra dunque difficile da spiegare sul piano puramente logico.Interrogativi più seri sta sollevando invece nel governo giallo-verde un’altra opzione. Ne ha parlato Giuseppe Conte al suo ritorno dalla visita alla Casa Bianca di tre settimane fa. Donald Trump, racconta il presidente del Consiglio, avrebbe offerto all’Italia un aiuto dagli Stati Uniti per il finanziamento del debito pubblico nel prossimo anno (nel 2019 il Tesoro di Roma deve collocare sul mercato titoli per circa 400 miliardi di euro, di cui 260 a medio-lungo termine). Che questa sia l’indicazione del presidente degli Stati Uniti a Conte lo riportano tre esponenti istituzionali italiani al massimo livello.Conte però non sembra aver spiegato in cosa consista esattamente l’offerta americana e se essa abbia alcuna possibilità di concretizzarsi. L’amministrazione di Washington non ha un proprio fondo sovrano e non ha un potere coordinamento su fondi o banche del settore privato. Quando a fine giugno la Casa Bianca ha riunito un certo numero di grossi investitori, in presenza anche del segretario al Tesoro Steven Mnuchin, secondo uno dei partecipanti l’Italia non è neppure stata menzionata. Non era un tema in discussione in quel momento per Trump o la sua squadra.
Il presidente tuttavia sembra aver davvero segnalato a Conte questa disponibilità ad aiutare il governo sul debito pubblico. Ufficialmente i temi di quell’incontro bilaterale del 30 luglio scorso furono la Libia, l’Afghanistan e il gasdotto Tap dal Caspio. Al termine però Conte ha pubblicato su Facebook un breve video nel quale Trump invita a investire in Italia. Non è chiaro soprattutto se, in contropartita alle sue vaghe promesse, l’inquilino della Casa Bianca stia cercando di rompere il fronte europeo nella guerra commerciale che minaccia contro la Germania. Christopher Wood, analista della lettera finanziaria “Greed and Fear”, osserva: «I populisti anti-euro e anti-immigrazione in Europa adesso hanno nella Casa Bianca un sostenitore che li incoraggia apertamente a perseguire i loro programmi». E prosegue: «Trump non avrebbe potuto mettere più in chiaro che sostiene la causa di coloro in Italia che vogliono lasciare l’euro. Ciò non è senza importanza perché una potenziale decisione futura del Paese di uscire dall’euro potrebbe apparire meno rischiosa politicamente e finanziariamente se ha il sostegno del presidente americano».Nel frattempo, è imminente il viaggio in Cina del ministro dell’Economia Giovanni Tria. Nei prossimi giorni vedrà il premier Li Keqiang e il governatore della banca centrale di Pechino Yi Gang.

 

Corriere della Sera. https://www.corriere.it/