Il World Economic Forum che si è riunito a Davos dal 23 al 26 gennaio ha rappresentato un’importante occasione di riflessione generale sulle prospettive economiche e sociali, ma anche un momento di confronto sulle strategie globali, non attutito da diplomazie e conformismi. I grandi della Terra non hanno nascosto i loro dissensi, che sono rimbalzati sulle opinioni pubbliche di tutto il mondo. A dare un’idea dello scenario con cui ci si misura, sono stati soprattutto i dati diffusi in occasione del vertice dall’Oxfam, confederazione internazionale di organizzazioni non profit, sul crescente divario tra ricchi e poveri: l’1% più ricco della popolazione mondiale continua a possedere quanto il restante 99%. E le distanze aumentano: l’incremento della ricchezza negli ultimi anni è andato in gran parte a questa privilegiata minoranza, mentre neanche un piccolo miglioramento solleva le sorti della metà più povera del pianeta.
Il tema del Forum Creare un futuro condiviso in un mondo frammentato sembra corrispondere a questo quadro d’insieme e a queste difficoltà. Il confronto tra strategie complessive è stato franco, soprattutto sul tema del commercio e dei suoi squilibri. Molte critiche alle tendenze protezionistiche impersonate da Trump, da quelle ispirate all’antica saggezza indiana di Narendra Modi, per cui il protezionismo rappresenta «una minaccia non meno preoccupante del cambiamento climatico e del terrorismo», a quelle dirette della Merkel, che ha messo sotto accusa i troppi egoismi nazionali che hanno portato a tragedie storiche, a Emmanuel Macron, che ha auspicato una ripresa del multilateralismo e rifiutato nuove egemonie. Su una linea comune europea, il presidente del consiglio italiano Paolo Gentiloni, che pur riconoscendo la necessità che Trump corrisponda alle sue promesse elettorali, lo invita ad un confronto che guardi «all’apertura, al libero commercio e agli accordi, non al protezionismo». Trump in qualche modo ha addolcito i toni, ma non la sostanza del suo intervento: ha ribadito che ‘America first’ non vuol dire ‘America alone’ e che non c’è quindi la volontà di portare il Paese all’isolamento e all’autosufficienza. Trump, privilegiando gli accordi bilaterali, vuole ottenere quello che definisce “un commercio giusto e basato su reciprocità”, evitando gli squilibri della bilancia commerciale che si sono evidenziati ad esempio con la Cina e con la Germania. Dopo Davos, anche se alcune diagnosi sono state condivise, le terapie d’intervento non sembrano del tutto convergenti.