Via Saragozza, ai piedi dei colli di Bologna, ma ancora dentro le mura. È su questa strada silenziosa, con echi spagnoleggianti e un carnevale ricordato dai libri di Enrico Brizzi, che ha preso dimora la mostra su Escher. Per la precisione al civico 28, all’interno di Palazzo Albergati. Una costruzione secolare riaperta al pubblico dopo l’incendio dell’agosto 2008 e i successivi restauri.
L’impegno di Arthemisia group, che organizza la mostra su Escher, ne ha fatto un luogo adatto a ospitare esposizioni e eventi culturali. «Nei primi incontri con il Comune siamo venuti a sapere dell’esistenza di questo meraviglioso palazzo, in pieno centro e strutturato per accogliere tante persone — racconta Iole Siena, presidente di Arthemisia — abbiamo visto i proprietari ed erano ben contenti di allestirlo a sede museale. Così abbiamo risistemato quei 1.300 metri quadri su due piani e ora Palazzo Albergati è dotato di tutti gli standard internazionali». L’intenzione, se l’investimento in città si rivelerà buono, è di aprire una nuova sede di Arthemisia in via Saragozza. I lavori di Arthemisia hanno coinciso con l’ultima parte di restauro dello stabile, cominciato nel 2009, un anno dopo l’incendio. E chissà, magari si potrà esportare questo «modello culturale» anche in altri luoghi d’Italia.
L’incendio del 2008 non ha intaccato lo straordinario patrimonio di arte e storia che si intreccia in queste sale e che dal 12 marzo hanno accolto le incisioni di Escher. Le radici di Palazzo Albergati affondano fino al 1519, quando sulle rovine delle loro vecchie case gli Albergati decisero di creare la loro futura dimora. Il loro è un cognome diventato illustre, ma che in realtà tradisce umili natali. Gli Albergati dimorarono infatti in via Saragozza da quando, nel XIII secolo, ottennero la cittadinanza bolognese con Ugolino, straccivendolo originario di Zola Predosa.
Da quei panni nacquero poi membri del consiglio degli anziani, capitani, gonfalonieri e una nutrita schiera di vescovi e cardinali. Ancora oggi si dibatte se il progetto architettonico dell’antica dimora sia opera di Baldassarre Peruzzi o, come propendono alcuni nuovi studiosi, di Domenico Aimo da Varignana. L’immobile è di proprietà da circa 5 generazioni della famiglia Bersani, i cui avi alla fine del 1800 acquistarono il palazzo dagli eredi di Francesco Cesare, ultimo degli Albergati. Nel 1528 era già nato il cortile destro e cinque anni dopo fu coperta la volta dello scalone. La parte inferiore del prospetto fu completata nel 1540, come rivela l’iscrizione «Annibale Albergati MDXXXX», che si legge sotto il cordolo della scarpa, e che vuole ricordare chi ebbe un ruolo fondamentale nell’imponente fabbricato. La facciata invece fu terminata nel 1612. Nell’atrio del palazzo fu ritrovata una tabella calcarea che testimonia l’esistenza nei pressi di terme di età augustea e varcando l’ingresso del civico 28, ci si imbatte in un’altra sorpresa: in alto a destra c’è una lapide murata che testimonia il passaggio in città nel 1845 dello zar di Russia Nicola I.
Al pian terreno, nell’ingresso di un appartamento, basta alzare lo sguardo per ammirare «Giove strappa la lingua alla menzogna» sul soffitto decorato dal pittore seicentesco Francesco Gessi, mentre su quello di un vicino camerino il coevo Andrea Sirani raffigurò un amorino in volo con frecce e faretra. Infine, salendo al piano nobile, il «Fregio» di Bartolomeo Cesi con le Storie di Annibale, rivelato dal crollo dovuto all’incendio: in quindici scomparti separati da cariatidi e dove figurano anche alcuni eventi della Seconda guerra punica.