LE TRE STRADE PER LA GRANDE SIENA
L’alleanza tra il capoluogo e i cinque Comuni più vicini e le idee per realizzarla: un rilancio a colpi di competitività
di Roberto Barzanti
Le dimensioni di una città contano, eccome! Riaprendo e aggiornando il dossier «Grande Siena» per verificarne la validità dopo l’attuale dirompente crisi non s’intendeva riprendere un discorso incardinandolo esclusivamente sull’urbanistica o scervellandosi su un’ennesima mappa di geografia amministrativa.
Una città è grande per le qualità che contiene, ma la sua forma non è una variabile incidentale. Le sconfitte subite nel definire una Toscana più razionalmente articolata in identificabili aree hanno insegnato che è necessario anteporre i contenuti, in una fase che domanda di predisporsi a selettive scelte. Non un secolo fa circolò uno studio che immaginava un mosaico di 50 Comuni. E la rassegnata proposta (2011) del modello dell’Unione di Comuni non ha dato i frutti sperati: se ne sono costituite 23. La pianificazione urbanistica è concordata insieme soltanto in 3 casi.
Della «Grande Siena» (capoluogo più Monteriggioni, Asciano, Castelnuovo Berardenga, Monteroni, Sovicille) quest’ultimo Comune continua ad esser partecipe dell’Unione della Val Di Merse non saprei con quali effetti. Il bello è che i sindaci si sperticano in lodi, ma mettono le mani avanti, lamentandosi (non a torto) della malavoglia di Siena. Li frena, forse, il timore di vedersi ingoiati da una potenza scomoda e fuori scala. Eppure da una stretta alleanza, non necessariamente limitata ai soggetti toccati, non ci sarebbe che da trarre reciproci vantaggi. Il sindaco De Mossi ha detto ni, aggiungendo che Siena intende rivestire il ruolo di player internazionale. Ma rendere più solida una città col suo hinterland non contraddice l’obiettivo di conquistare una posizione rilevante nell’orizzonte della globalizzazione.
La filosofia glocal spiega quanto sia utile aver presenti al tempo stesso una specifica consistenza e una rete informatica di regolari connessioni e mirati scambi. La convergenza dello spazio fisico e del digitale si traduce in una nuova cittadinanza. Non credo che la pandemia provochi un generico ritrarsi dall’urbano o masse di anacoreti calamitate da incantevoli «borghi». Saranno esaltate le belle città medie, piazzate in contesti salubri, non inquinate da veleni metropolitani. Quanto alle priorità per le quali spendere le risorse disponibili l’accordo è pressoché unanime. Sulle questioni riassumibili nel concetto di cultura è indispensabile nutrire maggiori e più chiare ambizioni.
Il gruppo consiliare «Per Siena» ribadisce la proposta di dar vita ad un Distretto culturale evoluto, che irrobustirebbe una vocazione che salta agli occhi. In questo ambito suona felice la prospettazione di un’«infrastruttura culturale» (Bingham-Hall), pensata per congiungere una catena di luoghi e iniziative che colleghino esperienze di produttività creativa.
Scomparse o indebolite le abituali rendite finanziarie, Siena e il senese devono far leva sul patrimonio artistico e sulla sua poderosa attrattività per ricavarne chances uniche di innovativo rilancio. Muovendo non da una musealizzazione separata di opere ereditate, ma convogliando in itinerari ben congegnati — uno è la Francigena — energie professionali e forze giovanili in residenze, laboratori, start-up disseminate in itinerari accoglienti. L’alta formazione non «da remoto» sarà un bene preziosissimo.
I visitatori non fuggevoli diverranno cittadini e i cittadini si scopriranno curiosi neofiti. In questa direzione le Contrade hanno nuclei di appassionati che hanno già dimostrato di esser pronti alla sfida. Ci sarà sete di esperienze che lascino il segno, finalizzate a inventare lavori, a render praticabili nuovi mestieri, a incrementare l’abilità esecutiva nelle arti, a rinverdire una tradizione artigianale in sofferenza.
Secondo punto: favorire una «casa comune» di dialogo critico tra ricerca e industria nel vario settore biomedicale può risolversi in un aggiornato parco scientifico. Siena è una delle capitali dei vaccini. Sono vigenti accordi tra biotecnologie e Big Pharma (GSK in primis) destinati a concretizzarsi al momento dell’output. «Qui l’impresa e la ricerca si potranno fare meglio che altrove» ha affermato con cognizione di causa Angelo Riccaboni. Già tra Sovicille e Siena è operante una ben organizzata realtà che affianca nella loro autonomia sperimentazione e industria. Infine, ma non ultima, la rigogliosa filiera agroalimentare. La Regione ha individuato nell’intera Toscana meridionale il distretto per essa più congruo, e Siena può occuparne sezioni cospicue. Basterebbero questi appunti di riflessione per giustificare la categoria di «Grande Siena». Le Scienze della vita — altro distretto — rivendicano un’attenzione preminente. Sono una frontiera decisiva per contrastare le catastrofi di un mondo minacciato da rischi globali.
Salute, ambiente e digitale è il trinomio del domani ed è la formula in grado di impedire il declino delle aree interne. Il quadro di una città policentrica, svincolata da burocratici e soffocanti intralci, non è declassabile a vetusto localismo. All’ordine del giorno sta in evidenza l’ascesa di un ceto dirigente portatore di una cultura politica in grado di sconfiggere pigrizie inammissibili e pregiudizi al tramonto. Siena ha una sua eccelsa funzione da assolvere. Quando se non ora le collaborazioni offerte vanno vagliate per provarsi a ricomporle in una coerente visione? Una cabina di regia, o qualcosa del genere, che amalgami la cooperazione tra enti — Comuni in testa — e associazioni non è una subdola sottrazione di autorevolezza a chicchessia. Il turismo sarà ben diverso da quello massivo tanto deprecato: sarà una delle componenti abilitate a ri-costruire, pezzo dopo pezzo, un città a maglie larghe, biocompatibile e ecosostenibile, alimentata da spirito imprenditoriale, apprezzata da chi desideri investire con coraggio in sicurezza. In un città terragna e digitale, oltremoderna — non postmoderna! — perché fedele al cuore suo antico.
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