La scelta di assumere alcuni obiettivi precisi e condivisi, di fare politiche mirate a perseguirli e di misurare dopo i risultati, costituisce un fatto molto positivo. Non solo sul piano metodologico. Potrebbe diventare in futuro una vera e propria rivoluzione sul piano dell’efficacia delle politiche economiche e quindi del rapporto tra cittadini e politica. Ma perché questo avvenga sono necessari tempo, per consolidare strumenti e metodologie, ed una certa separazione dalla contingenza politica e dall’intreccio con la propaganda elettorale: se infatti si parte da un giudizio positivo sulle cose fatte si finisce col riproporre la continuazione delle politiche fatte e non si pensa né ad una discontinuità né ad una svolta.
È il problema che abbiamo davanti.
Il documento del tesoro parla di un quadro incoraggiante caratterizzato da una ripresa del reddito disponibile determinata dalla crescita economica in atto e dagli interventi fatti dal governo in materia di sostegno alle famiglie e all’occupazione, dei bonus degli 80 euro, degli incentivi all’assunzione, del contrasto alla povertà e del reddito di inclusione. Non a caso sui quattro indicatori esso assume obiettivi modesti e sulle politiche una pura continuità.
Nei mesi scorsi è stato presentato anche il Rapporto Asvis (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile), l’associazione creata da Enrico Giovannini. In esso si afferma che l’Italia non sarà in grado di centrare né i target da raggiungere entro il 2020 nè quelli fissati per il 2030, a meno di un cambiamento radicale del proprio modello di sviluppo. In assenza di tale cambiamento povertà, disuguaglianze e degrado ambientale non verranno ridotti drasticamente come previsto e necessario. Esso afferma che nel corso degli ultimi anni si registra un miglioramento per alcuni indicatori (alimenti, fame ed alimentazione, salute e benessere, educazione…), ma che c’è un sensibile peggioramento per alcuni indicatori come la povertà, la gestione delle acque, le disuguaglianze e non ci sono miglioramenti sull’occupazione e sulle città sostenibili. Le distanze con gli altri paesi restano molto alte così come le disuguaglianze territoriali socio-economiche e quelle di genere e la percentuale di persone in situazione di povertà assoluta rispetto al 2005 è più che raddoppiata. Il nostro paese è indietro non solo su povertà, disoccupazione, disuguaglianze, degrado ambientale e un sentiero di sviluppo sostenibile e la ripresa economica da sola non risolveranno i problemi che la pongono tra i paesi europei con le peggiori performance economiche, sociali, ambientali
Dice Giovannini che, malgrado i passi avanti compiuti in alcuni campi, l’Italia resta in una situazione di non sostenibilità economica, sociale e ambientale e che se i partiti non metteranno lo sviluppo sostenibile al centro della legislatura, le condizioni dell’Italia saranno destinate a peggiorare anche in confronto con altri paesi.
Per la prima volta nei prossimi anni avremo modo di misurare obiettivi e risultati. In particolare sul grande tema delle disuguaglianze.
Per la sinistra credo ci sia un problema in più. Abbiamo parlato di numeri e di indicatori. Essi sono importantissimi, ma la sinistra dovrà andare ben oltre. Il benessere di cui si parla non è un prodotto statistico, ma umano. È ricerca e costruzione della felicità. E come tale non può prescindere dalle persone, dalla loro partecipazione e dal loro protagonismo. Se di questo non saranno protagoniste le sinistre, altre forze potrebbero attecchire sul malessere.