Così Inge catturò la Garbo

A un anno dalla scomparsa della signora dell’editoria anticipiamo parte della sua biografia, in uscita per Feltrinelli nel 2020
di Marco Meier
Heinrich Maria Ledig- Rowohlt aveva dato a Inge tre libri per il viaggio oltreoceano: Giobbe di Joseph Roth,
America di Franz Kafka ed estratti dei Diari di Stefan Zweig. Per fortuna, perché un viaggio in nave di una settimana poteva soddisfare solo in parte la curiosità e la voglia di fare di una fotoreporter irrequieta come Inge Schönthal. Non aveva impiegato molto a esplorare tutto quello che c’era da esplorare sulla nave. E per fortuna che c’era anche il direttore della Zeit Richard Tüngel, altrimenti si sarebbe annoiata a morte. Tüngel lo conosceva dalla mensa della Dpa di Amburgo. Mentre pranzavano insieme sulla nave, si scambiavano pettegolezzi, soprattutto sul fondatore dello Spiegel . Il fatto che Rudolf Augstein, decisamente basso di statura, amasse farsi vedere in città alla guida di Cadillac appariscenti li divertiva e irritava al tempo stesso. Tüngel durante quei pranzi impartisce a Inge, en passant , anche qualche lezione di bon ton utile nel caso si fosse trovata a pranzare con l’alta società newyorchese. Richard Tüngel era stato invitato negli States dal New Yorker , la rivista di attualità politica fondata nel 1925 e che, insieme a Time- Magazine , costituiva per molti fondatori e direttori di giornali europei del dopoguerra il modello da seguire. Tra i seguaci di quel tipo di giornalismo c’è anche il fondatore di Der Spiegel Rudolf Augstein.
Poi finalmente avvistano la città. Inge è ancora mezza addormentata quando la nave entra, attraverso la foce dell’Hudson, nel porto di New York. Uno spettacolo mozzafiato. Tüngel dice a Inge che il New Yorker ha mandato una macchina con autista, per cui, se volesse potrebbe darle un passaggio fino in centro a Manhattan. Se l’autista potesse portarla sulla Fifth Avenue, all’altezza Madison Square-Central Park sarebbe perfetto. Prima di partire un suo caro amico che era già stato a New York le aveva raccomandato di fermarsi innanzitutto lì per avere un primo impatto con questa meravigliosa città. Pensava di prendere la subway a Downtown e farsi qualche stazione, prima di riemergere dal sottosuolo. Sempre l’amico di cui sopra le aveva raccontato che il momento in cui si torna in superficie, è una sorta di rinascita urbana, è l’ingresso nel Nuovo Mondo, nella Gotham City.
Non c’è europeo che non si senta sopraffatto da questo spettacolo, reso ancora più impressionante dalle sirene delle macchine dei vigili del fuoco e della polizia, mentre dai tombini escono sbuffi di vapore, quasi si trattasse di geyser attivi. Poco dopo Inge si ritrova con borsone e valigia dietro alla Grand Central Station, angolo 40th-Street-Fith Avenue. Lo sguardo corre su e giù per le facciate dei grattacieli, si volta a sinistra, poi a destra, guarda verso il cielo e poi di nuovo in basso, sul traffico, sui grandi e colorati incroci, gli autobus, i taxi. La città si stava svegliando.
Si rivolge a una passante e le chiede se c’è un autobus che la porti direttamente all’Upper East Side. La cosa migliore è se prende un bus in Lexington Avenue, tre strade più avanti, a destra, le viene risposto. Ancora in viaggio, studiando la mappa di Manhattan, si era immaginata di recarsi come prima cosa al Metropolitan Museum of Art, fare colazione nel caffè interno e poi telefonare ai padroni di casa che l’avrebbero ospitata. Abitavano sulla Fifth Avenue, vicino al museo. Inge guarda l’orologio, sono quasi le 10, nella guida c’è scritto che il museo apre alle 9.30. La brodaglia grigia che viene servita come caffè è imbevibile, in compenso le uova al tegamino e gli hash brown buonissimi. Sazia e soddisfatta Inge si siede sulla scalinata del museo. Il sole autunnale getta uno stretto fascio di luce sulla strada e sui gradini del museo. Al telefono le avevano detto che sarebbero venuti a prenderla tra le 11.30 e mezzogiorno. Inge è entusiasta di questa Gotham City ! In più, come scoprirà da lì a poco, ha la fortuna, di alloggiare in una zona decisamente esclusiva. L’imprenditore Rudolf August Oetker aveva procurato a Inge il contatto con la bisnipote di John Pierpont Morgan, un influente banchiere del 20esimo secolo. Davanti al lussuoso penthouse sulla Fifth Avenue, si schiude verso ovest e in tutta la sua bellezza autunnale Central Park. La prima settimana Inge si sente letteralmente di mano in mano. Non c’è serata in cui non la si inviti a un cocktail o una cena. Durante una di queste cene Inge conosce un redattore della rivista di moda Harper’s Bazaar . Ed è lui che le suggerisce di fotografare la crême de la crême dei fotografi di moda americani. Per i contatti può rivolgersi a lui. Così, il giorno dopo Inge telefona alla redazione di Constanze e propone una serie di ritratti di questi fotografi, proposta accolta con entusiasmo. Mettersi in contatto con questi maestri non è facile, ma anche questa volta la fortuna è dalla sua parte. Scrive agli agenti di Richard Avedon, Erwin Blumenfeld e John Rawling, racconta loro di voler realizzare ritratti esclusivi dei fotografi per Constanze , la nuova rivista femminile di Amburgo. Una volta spedite le lettere, non resta che attendere. Inge decide di impiegar il tempo girando, infagottata in un pesante cappotto, e con macchina fotografica e flash appresso, per Manhattan, alla ricerca di persone interessanti. A volte sta fuori fino a tarda sera.
Anche quella fredda mattina di novembre Inge è a caccia di immagini. A un certo punto si concede una piccola sosta. Si siede sul parapetto di una vetrina su Madison Avenue, la Rolleiflex pronta allo scatto, il flash appoggiato al piede. Osserva affascinata il fiume di persone sul marciapiede e il traffico che scorre in modo incredibilmente tranquillo. Se ne sta lì per un po’, felice e al tempo stesso leggermente spaesata. Pensa al padre. Non ha il suo numero di telefono. E se oggi si presentasse semplicemente all’indirizzo al quale aveva scritto qualche settimana prima? A piedi non ci impiegherebbe molto, si trova sulla Westside di Central Park. Improvvisamente il suo sguardo viene attirato da una persona. Non può essere, pensa. Ma quella donna all’incrocio, persa nei suoi pensieri, con indosso un ampio cappotto scuro, in capo un elegante cappello di feltro color prugna, non è Greta Garbo? Sembra raffreddata, tiene la borsa stretta sotto il braccio per soffiarsi il naso. Nessuno però pare riconoscerla. Il semaforo è ancora rosso. Inge si alza di scatto, tiene la Rolleiflex ad altezza pancia, guarda velocemente attraverso il mirino e scatta. Un attimo dopo la donna è scomparsa. Ma era veramente Greta Garbo? Due giorni dopo Inge tiene in mano i provini a contatto. Sì, era proprio Greta Garbo. Certo l’immagine avrebbe potuto essere più nitida, in compenso aveva colto benissimo l’attimo. La Garbo così non si era mai vista.
Il giorno stesso Inge telefona a Ulrich Mohr e gli racconta di questo piccolo scoop. Mohr le dice di mandare al più presto una stampa della foto e le da l’indirizzo di un collega della rivista Life. Sicuramente sarebbero stati interessati anche loro a questa foto. Nella mensa della Dpa di Amburgo non si fa che parlare di lei, Inge Schönthal. Era partita nemmeno un mese prima e già aveva piazzato una foto su Life, che veniva considerata dai fotogiornalisti il non plus ultra. Chi ce la fa a entrare lì, è arrivato.
Grazie allo scatto della Garbo, Inge intasca, orgogliosa, i suoi primi 50 dollari guadagnati a New York. Poco dopo, la foto viene pubblicata anche in Germania dal tabloid Bild Zeitung, solo senza crediti fotografici e con una didascalia inventata: “La divina è raffreddata. Anche Greta Garbo deve starnutire. La divina che ha girato il suo ultimo film nel 1941 — Non tradirmi con me — ha da tempo lasciato Hollywood e ora vive ritirata ad Anacapri. Di tanto in tanto va a Roma per gli acquisti dove l’ha incontrata il nostro reporter. E a Roma si è presa il raffreddore”.
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