Il giorno dopo la grande battaglia al Consiglio europeo e il «confronto duro e franco» con Angela Merkel, Giuseppe Conte, in questa intervista al Sole 24 Ore, esorta l’Europa tutta a «non compiere errori tragici» e avverte che «l’intero edificio europeo rischia di perdere la sua ragion d’essere». L’Italia andrebbe avanti lo stesso. Viceversa «l’inerzia – dice il presidente del Consiglio – consegnerebbe ai nostri figli il costo immenso di un’economia devastata». Eccola dunque la proposta italiana all’Europa: un piano straordinario di ricostruzione che sia all’altezza almeno di quello di americani e cinesi, e uno European Recovery Bond, vale a dire uno strumento di debito comune europeo che ci permetta di ricostruire il tessuto economico-sociale del Vecchio continente. Netta opposizione invece a quei colleghi europei che hanno riproposto il Mes.
Conte conferma anche che con il decreto legge di aprile «il nostro sforzo complessivo di bilancio arriverà a una soglia ben superiore ai 50 miliardi» (comprendendo i 25 già varati). «Metteremo in campo un sostegno senza precedenti ai finanziamenti per la nostra economia, pari a quello offerto dai pacchetti di politiche più ambiziosi approvati in questi giorni in Europa».
Presidente Conte, lungo litigio con la cancelliera Merkel al Consiglio Ue di giovedì? Ci racconta com’è andata e quali sono le posizioni in campo? Che cosa si aspetta da queste due settimane?
Più che un litigio è stato un confronto duro e franco, perché stiamo vivendo un’emergenza che sta mietendo un alto numero di vittime tra i nostri cittadini e sta producendo una severa recessione economica. Io rappresento una comunità nazionale fortemente sofferente e non posso permettere tergiversazioni. In Italia, ma anche negli altri Stati membri, siamo costretti a operare scelte tragiche. Dobbiamo evitare di compiere in Europa errori tragici. Se l’Europa non dovesse dimostrarsi all’altezza di questa sfida epocale, l’intero edificio europeo rischia di perdere, agli occhi dei nostri stessi cittadini, la sua ragion d’essere.
Qual è stata la discussione sul Mes?
Ai colleghi che ragionavano di Mes, ho replicato che non v’è ragione di affannarsi, perché non è di questo che adesso abbiamo bisogno. Il Mes è uno strumento costruito per prestare soccorso a singoli Stati membri che attraversano tensioni finanziarie ricollegate a shock asimmetrici. Il coronavirus sta invece causando uno shock simmetrico, con l’effetto di deprimere, in modo sincrono e completamente inatteso, i nostri sistemi economici e sociali. Qualcosa di completamente differente rispetto alla crisi del 2008. Siamo a un passaggio critico della storia europea. Vogliamo essere all’altezza di questa sfida? Allora variamo un grande piano, uno European Recovery and Reinvestment Plan che sostenga e rilanci l’intera economia europea e, se mai, faccia fare un salto di qualità all’intera architettura europea. I nostri competitori internazionali si stanno attrezzando con stimoli economici assolutamente eccezionali. Dobbiamo fare altrettanto.
La Bce ha potenziato il suo bazooka con possibilità di intervento sia sul fronte titoli di stato che del credito bancario e commerciale. È sufficiente?
L’ultima decisione della Bce rafforza il sostegno alle politiche di bilancio che gli Stati stanno mettendo in campo per aiutare le imprese, le famiglie, i lavoratori. La politica monetaria sta facendo la sua parte, ma non può fare tutto. Noi governanti dobbiamo assumerci la responsabilità politica di completare l’opera, ad esempio con uno European Recovery Bond, vale a dire uno strumento di debito comune europeo che ci permetta di vincere la guerra contro il coronavirus e di avviare l’opera di ricostruzione del tessuto economico-sociale che dovrà seguirà.
Mario Draghi nel suo editoriale sul Financial Times ha posto l’esigenza prioritaria di tutela dei redditi, che, abbiamo visto, è molto costosa. Che ne pensa? Resteranno risorse per rilanciare l’economia e gli investimenti?
Draghi ha spiegato chiaramente che spendere più risorse in questo momento è un investimento irrinunciabile, perché l’inerzia consegnerebbe ai nostri figli il costo immenso di un’economia devastata. Quanto ai costi, lo stesso Draghi ci ricorda che i tassi d’interesse sono e resteranno bassi, anche grazie all’azione delle banche centrali: quando l’emergenza sanitaria avrà fine, perciò, non potremo permetterci di sprecare quest’opportunità, privilegiando la spesa pubblica di qualità fondata sugli investimenti pubblici.
Lei ha parlato di un nuovo decreto di 25-30 miliardi. Dove prenderemo le risorse se l’Europa non ci aiuta? Slitterà la fase 2 di rilancio di semplificazione e cantieri?
Ritengo che il nuovo decreto di aprile debba portare il nostro sforzo complessivo di bilancio a una soglia ben superiore ai 50 miliardi. Le misure e le garanzie pubbliche che abbiamo messo e stiamo mettendo in campo forniranno un sostegno senza precedenti ai finanziamenti per la nostra economia, pari a quello offerto dai pacchetti di politiche più ambiziosi approvati in questi giorni in Europa. L’azione della Bce ha frenato le spinte speculative e ci consente di ricorrere con tranquillità al mercato per finanziare la nostra spesa. L’Italia, come gli altri paesi europei, può affrontare da sola questa emergenza: abbiamo le risorse umane, economiche e morali per farlo. Ma sarebbe un grave errore per l’Europa se, di fronte a una sfida comune di questa portata, non riuscisse ad approntare nuovi strumenti in grado di dare la risposta forte e solidale che tutti i cittadini europei hanno il diritto di aspettarsi da una casa comune che è stata costruita per proteggerli meglio, nel segno della unità e della solidarietà. Ne uscirebbe sconfitta l’intera Europa e indebolita l’intera economia continentale.
Non c’è il rischio che il nostro debito finisca fuori controllo? Non basta essere autorizzati a fare più deficit per risolvere ogni problema di tenuta dei conti.
Il nostro debito è pienamente sostenibile. Peraltro, nel corso del Consiglio europeo ho chiarito che non si tratta di decidere su forme di mutualizzazione dei debiti pubblici. Ogni Stato membro rimarrà responsabile del proprio debito pubblico. L’Italia ha terminato il 2019 con un rapporto deficit/Pil pari a 1.6% anziché 2.2% come programmato. Nei primi mesi del 2020 stavamo confermando questo trend positivo. Abbiamo le carte in regola per sollecitare uno slancio in avanti dell’Europa. Dobbiamo costruire sin da subito una linea di difesa europea per aumentare la potenza di fuoco europea. Ecco perché è inaccettabile rispondere a questa sfida epocale con gli strumenti tradizionali, come i programmi esistenti del Mes, che richiedono pesanti condizionalità ai Paesi. Lo shock che ci ha travolto è simmetrico, riguarda tutti gli Stati in Europa e nel mondo: non possiamo rispondere con strumenti costruiti in un mondo che non esiste più.
Su tutto incombe l’emergenza sanitaria. È possibile una previsione dei tempi in cui potremo uscirne? E con che tipo di gradualità?
Al momento è prematuro fare previsioni, ma ci auguriamo di poter tornare quanto prima alla normalità. Ridurremo le restrizioni fino alla loro completa eliminazione, ma lo faremo gradualmente, per evitare che gli sforzi sin qui compiuti siano vani.
Come sta reagendo il nostro sistema sanitario al grande stress? C’è qualcosa da aggiustare? Bisogna tornare a investire dopo tanti tagli del passato?
L’ho detto chiaramente durante la mia ultima informativa alle Camere: la stagione dei tagli alla sanità e alla ricerca va archiviata per sempre. Dobbiamo garantire che l’Italia sia sempre più preparata a gestire situazioni di emergenza: dovremo procedere ad assunzioni cospicue, aumentare le retribuzioni del personale medico e sanitario e il numero di posti letto disponibili in terapia intensiva, investire ogni risorsa disponibile nella ricerca, ricostruire le filiere produttive nazionali di dispositivi sanitari. E vorrei ringraziare, ancora una volta, tutti i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari: ogni giorno ci rendono sempre più orgogliosi di essere italiani.
Altro tema caro agli italiani, la scuola. Prevede che riaprirà per questo anno scolastico? Quando? E anche qui lo stato di emergenza ci insegna qualcosa su come potremmo fare un avanzamento tecnologico in futuro?
Possiamo già dire che, come già anticipato dal Ministro Azzolina, la sospensione delle attività scolastiche proseguirà anche dopo il 3 aprile. Queste settimane di emergenza ci hanno mostrato quanto sia irrinunciabile l’impulso alla trasformazione digitale del Paese. Con il decreto “Cura Italia” abbiamo stanziato 85 milioni per potenziare la didattica a distanza, soprattutto a beneficio degli studenti meno abbienti. Inoltre abbiamo appena sbloccato 200 milioni di finanziamenti da parte del Comitato per la diffusione della Banda Ultra-larga (Cobul), che porteranno la connessione ultra-rapida in oltre 40mila complessi scolastici in tutta Italia, gratuitamente per i prossimi cinque anni.
Lei ha detto, a proposito delle fabbriche chiuse, che l’intervento deve essere limitato allo stretto indispensabile. Ci chiarisce meglio? Come evitare il rischio di perdere pezzi del sistema industriale che tiene in piedi l’economia e il Paese?
La chiusura delle attività commerciali – e poi di quelle produttive, a esclusione di quelle essenziali – è stata una decisione difficile e senza precedenti nella storia della Repubblica. È una scelta senz’altro costosa, ma non dobbiamo dimenticare che il contenimento efficace del virus è un imperativo etico, perché ci consente di salvare vite umane. Non solo. È anche la più importante misura economica che oggi possiamo adottare per far ripartire al più presto l’intero sistema socio-economico.
Ha detto anche di voler tutelare le aziende strategiche da scalate ostili. Come pensa di fare? Rafforzando e allargando l’attuale golden power?
Nel decreto di aprile potenzieremo tutti gli strumenti a nostra disposizione per proteggere gli asset strategici del Paese, alla luce di un’ampia serie di rischi epidemiologici, ambientali, sismici, informatici e geopolitici. Tutelare le nostre aziende strategiche è una priorità per il Governo e siamo disponibili a introdurre anche nuovi e più sofisticati strumenti.
Finita l’emergenza ci sarà ancora più bisogno di riforme che consentano alla nostra economia di correre: banda larga, infrastrutture e logistica portuale, possibilità di tornare ad assumere senza troppe rigidità… Avete cominciato a pensarci? Lei appartiene alla scuola di chi pensa che serva una nuova Iri?
Siamo già al lavoro per chiudere un primo provvedimento di semplificazioni burocratiche e riforme strutturali, per premere sull’acceleratore degli investimenti. Non credo in formule nostalgiche, ma penso che l’emergenza abbia mostrato l’importanza di una sinergia profonda fra Stato e mercato, fra infrastrutture pubbliche e iniziativa privata.
Regioni, Parlamento, rapporto con l’opposizione sono i temi politici di questo drammatico momento. Pensa che un governo con pochi voti di maggioranza possa fronteggiare la più grave emergenza per il Paese dal dopoguerra a oggi? Non crede sia necessario un maggiore coordinamento con le opposizioni?
In Parlamento la maggioranza è compatta, le forze politiche che sostengono il Governo hanno mostrato responsabilità e coesione. In queste settimane – come ho ricordato nella mia informativa alle Camere – il Governo ha agito con determinazione e speditezza per contrastare questa emergenza. Siamo aperti al contributo che perverrà dalle forze di opposizione, con le quali è già in atto un’interlocuzione costante, che si intensificherà nei prossimi giorni attraverso la creazione di tavoli tecnici di confronto permanente in vista della emanazione dei prossimi provvedimenti economici. Ovviamente ci saranno anche specifici momenti di confronto più squisitamente politico. Questa emergenza sanitaria la stiamo gestendo curando un costante coordinamento con le Regioni che hanno la diretta responsabilità della organizzazione della macchina sanitaria.
Come pensa che la norma contenuta nell’ultimo decreto legge possa ridurre il livello di conflittualità con le ordinanze regionali? Sembra una norma piuttosto blanda, senza grandi poteri di coordinamento che pure, in una fase come questa, potevano essere attivati. Lo spettacolo di questi giorni non è stato edificante.
Indubbiamente l’emanazione di ordinanze regionali talvolta non coerenti con i Dpcm adottati può aver creato incertezza. Per questo, con l’ultimo decreto legge, abbiamo chiarito che le ordinanze possono essere emanate dai governatori solo in caso di sopravvenute situazioni di aggravamento del rischio sanitario e, comunque, perdono efficacia al momento dell’adozione del successivo Dpcm. Ritengo che sia una soluzione equilibrata rispetto al quadro costituzionale vigente, dal momento che preserva le prerogative riconosciute alle Regioni nelle materie di competenza e, dall’altra, assicura quanto più possibile coerenza normativa, tanto più necessaria trattandosi di misure che incidono sulla vita quotidiana di cittadini, lavoratori e imprese.
Ma sarà necessaria, a fine emergenza, una riforma dell’assetto istituzionale del Paese, con particolare riferimento al Titolo V e alle competenze delle Regioni?
Al termine di questa emergenza, sarà opportuno aprire un’ampia e coinvolgente discussione sul tema. D’altra parte, in questi venti anni che ci separano dalla riforma del Titolo V, in più occasioni – anche a seguito della copiosa giurisprudenza costituzionale scaturita dal conflitto tra Stato e Regioni – sono state avanzate proposte per modificare il riparto delle competenze o per introdurre istituti che lo Stato possa attivare, senza dover ricorrere all’esercizio del potere sostitutivo. Trattandosi di materia costituzionale, affido queste riflessioni alla sensibilità delle forze politiche di maggioranza e di opposizione.
La Cina ci ha fornito medici e materiali, la Russia ha inviato una pattuglia di camici bianchi militari esperti in guerra batteriologica. E c’è chi teme uno spostamento dell’asse delle relazioni internazionali dell’Italia…
Ho già chiarito che è assolutamente fuori luogo immaginare che la nostra collocazione geopolitica possa dipendere dalla provenienza e dalla quantità di forniture mediche che ci stanno pervenendo in questi giorni. Apprezziamo molto il sostegno che stiamo ricevendo in un momento di bisogno. È un sostegno morale e materiale che ci arriva da tutto il mondo. Ma questo non cambia la nostra tradizionale collocazione euroatlantica. Non vediamo l’ora peraltro di potere uscire da questa emergenza per potere, a nostra volta, aiutare i tanti Paesi che ci hanno mostrato solidarietà.