Gli immigrati in Italia sono in maggioranza cristiani e alle prese con le nuove povertà dovute al covid-19
Sono in numero minore rispetto agli altri anni, la maggior parte di religione cristiana, in maggioranza ortodossi, e con un lavoro perlopiù poco qualificato, tantissimi hanno fatto ricorso ai centri Caritas per un aumento di povertà dovuto al covid ma senza che questo abbia portato a un parallelo aumento dei reati che sono invece diminuiti negli ultimi anni. Sono solo alcuni tratti dell’identikit dei migranti che emerge dai consistenti dati contenuti nel 29º «Rapporto immigrazione 2020 – Conoscere per comprendere» elaborato congiuntamente da Caritas italiana e Fondazione Migrantes, e presentato questa mattina a Roma. All’evento sono intervenuti, tra gli altri, il responsabile dell’Ufficio politiche migratorie e protezione internazionale di Caritas italiana, Oliviero Forti, e il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, monsignor Stefano Russo che nell’introduzione al documento spiega come esso rappresenti «un segno di speranza per il nostro mondo, poiché contribuisce alla crescita di una cultura più matura e meno guidata da preconcetti, meno incline a difendersi e più aperta».
Nel dettaglio relativo alla situazione italiana, dopo aver espresso soddisfazione per il via libera del Consiglio dei ministri al decreto legge contenente disposizioni urgenti in materia di immigrazione che modificano i cosiddetti decreti sicurezza, si precisa che a fronte di una crescita mondiale dei movimenti migratori aumentata a dismisura negli ultimi cinquant’anni, costituita da 272 milioni di persone pari al 3,5 per cento della popolazione del pianeta, nella Penisola si è registrata un’inversione di tendenza con minori arrivi, nascite e e acquisizioni di cittadinanza. I cittadini stranieri residenti, compresi quelli comunitari, sono 5.306.548, la maggior parte dei quali è di nazionalità romena. Quasi tre milioni e mezzo invece i permessi di soggiorno rilasciati in maggior numero, circa 400 mila, a originari del Marocco, i cui motivi confermano la tendenza all’inserimento stabile, in quanto, in relazione alla durata, la maggior parte di questi documenti, il 62,3 per cento del totale, è a lunga scadenza. Ciononostante, precisa il rapporto, lo scivolamento nell’infrazione è sempre in agguato. Diversi studi infatti hanno fornito stime circa la consistenza della componente irregolare in Italia, oltre 650.000 persone, sottolineando inoltre come i provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale continuano a dimostrare di essere strumenti insufficienti e dispendiosi per la gestione di questo fenomeno.
Per ciò che concerne l’apporto economico dei migranti, il dossier specifica come in Italia nel 2018 il loro contributo al Pil sia stato di 139 miliardi di euro, pari al 9 per cento del totale. Nel mercato del lavoro si era registrata una crescita di occupazione dei cittadini stranieri — due milioni e mezzo circa, che rappresentano il 10,7 per cento degli occupati totali nel Paese — prima del drammatico impatto rappresentato dalla diffusione del covid-19 che ha provocato una contrazione di impieghi e un sensibile aumento di coloro che non hanno né cercano un lavoro. E qui si lega strettamente il discorso che verte sulla povertà, soprattutto quella assoluta, la quale, affligge circa un milione e quattrocentomila non italiani fortemente penalizzati dalle conseguenze del lockdown: in soli tre mesi Caritas italiana ha aiutato, in diverse forme, 445.585 indigenti, in media quasi tremila assistiti per diocesi. Un numero certamente preoccupante, è scritto nel rapporto, se pensiamo che in situazione di normalità i centri di ascolto dell’organizzazione ecclesiale aiutano, nel corso di un intero anno, circa 200 mila persone. Qui hanno ricevuto quel calore e quell’aiuto insegnato dal Vangelo che loro ben conoscono dato che la maggioranza, il 54,1 per cento, riferiscono le cifre, è di religione cristiana (il 29,3 per cento ortodossi). Stabili gli stranieri musulmani residenti in Italia mentre sono 174 mila quelli buddisti.
Il flagello della pandemia non ha però comportato gravi ripercussioni a livello medico-sanitario sui migranti: nell’aprile 2020 in Italia su 179.200 diagnosticati tra quelli con nazionalità conosciuta, il 69,3 per cento, solo il 5,1 per cento ha riguardato soggetti di nazionalità straniera. Non solo: secondo uno studio condotto dall’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà, tra i casi di positività al coronavirus fra gli stranieri presenti nel sistema di accoglienza per richiedenti asilo in un periodo che va dall’11 maggio al 12 giugno 2020, su 59.648 immigrati accolti solo 239 sono stati confermati positivi al covid-19, lo 0,4 per cento, escludendo qualsiasi allarme sanitario.
Il rispetto della legge è un altro dei temi affrontati, con un quadro generale che offre dati rilevanti: negli ultimi dieci anni il numero di reati denunciati all’autorità giudiziaria dalle forze di polizia è diminuito del 9,8 per cento con una tendenza che è proseguita anche nel 2019. I cittadini stranieri, piuttosto, si precisa, sono fra le principali vittime di reati collegati a discriminazioni.
Scuola e università sono le altre voci analizzate nel documento che osserva come la perdita di circa centomila studenti italiani nell’anno scolastico 2018-2019 dovuta al calo delle nascite sia stata compensata da un aumento di alunni con cittadinanza straniera, per lo più di seconda generazione, di quasi 16 mila presenze rispetto all’anno precedente, raggiungendo un totale di circa 860 mila unità, il 10 per cento del totale della popolazione scolastica. Anche su questo versante non sono mancate difficoltà negli studi a casa: pur dotati di tablet forniti dal ministero della Pubblica istruzione, molti bambini stranieri non hanno ricevuto aiuto dai familiari per scarsa competenza informatica e difficoltà linguistiche. Per questo varie Caritas locali hanno avviato azioni di supporto di didattica a distanza. È del 33, 1 per cento invece l’ammontare degli studenti stranieri a rischio di abbandono dell’università, contro una media nazionale del 14 per cento, indice, afferma il rapporto, di una scarsa attrattività del sistema universitario.
di Rosario Capomasi