di Stefano Folli
C’è una ragione per cui Salvini ha smesso di candidare Mario Draghi al Quirinale, dopo aver tanto insistito nelle settimane scorse. È lo stesso motivo per il quale il capo della Lega parla e agisce come il più convinto sostenitore del governo in carica, auspicando che concluda la legislatura nella primavera del 2023. Altro che elezioni l’anno venturo: la nuova parola d’ordine è stabilità. Soprattutto stabilità. Si dirà che è la logica conseguenza della scelta governativa, un investimento che la Lega non ha intenzione di pregiudicare, nonostante saltuarie intemperanze. Ha puntato fin dall’inizio sul successo dell’esecutivo Draghi, a differenza di Fratelli d’Italia, e non ha interesse a cambiare rotta a metà della traversata.
Proporre il presidente del Consiglio per il Quirinale significa irritarlo e creare un rumore di fondo molesto, anzi dannoso.
Tuttavia c’è dell’altro e probabilmente è la vera spiegazione della ritrovata prudenza leghista. In questo momento a Salvini preme non pregiudicare la prospettiva di una federazione con Forza Italia, premessa del possibile partito unico di cui sono piene le pagine dei giornali. Nella sua mente si tratta di un processo di conquista del vecchio movimento berlusconiano.
Una specie di “Opa”, a voler usare un linguaggio finanziario, in grado di restituire allo strano soggetto Lega-Forza Italia (o quel che resta di quest’ultima) una centralità minacciata dall’irrompere di Giorgia Meloni. Questa strategia è stata ben spiegata nei giorni scorsi dalle varie analisi e indiscrezioni, per cui non presenta misteri. Ma cosa spinge Berlusconi ad assecondare un piano di cui Salvini sarebbe di gran lunga il principale beneficiario?
Il tornaconto dell’uomo che ha dominato per anni la scena del centrodestra è uno solo, ma cruciale: poter inseguire il sogno, o meglio l’illusione, di succedere a Mattarella nel gennaio 2022. Può sembrare un’assurdità, se si mettono sulla bilancia l’età di Berlusconi, la salute malferma, nonché gli aspetti controversi, a dir poco, della sua storia personale e giudiziaria. Ma tant’è. Il fondatore di Forza Italia crede seriamente di poter ottenere il premio finale: il riconoscimento istituzionale a chi nel bene e nel male ha dominato la scena dalla fine della Prima Repubblica in poi. L’operazione con la Lega ha dunque un preciso sottinteso: ottenere il sostegno alla sua candidatura, così da creare una massa critica intorno a cui aggregare in Parlamento altri blocchi di voti fino a raggiungere il “quorum” dopo la quarta votazione. Salvini ha convenienza ad alimentare il sogno, garantendo un appoggio senza riserve: promettere non costa niente e poi chi vivrà, vedrà. Su tali basi ha già preso forma la trattativa sul “partito unico”, ma i tempi saranno lunghi e il sentiero tortuoso.
Nell’ambiguità ognuno potrà perseguire i propri obiettivi. E Berlusconi potrà credere alla lealtà di Salvini, che magari si tradurrà in un voto “di bandiera” nelle prime votazioni (in mancanza di un accordo generale destra-sinistra su un altro candidato).
È un’illusione, appunto. Sarà difficile anche solo ottenere i consensi di Giorgia Meloni, visto che la federazione gradita al leghista è concepita per danneggiare lei.
Ma in ogni caso la destra non sembra in grado di allargare il perimetro dei grandi elettori in modo significativo. Tanto meno di conquistare voti a sinistra, come è ovvio. La candidatura di Berlusconi è una chimera e serve solo a coprire la lenta dissoluzione di Forza Italia.